Ucraina, la guerra dei video. Non solo Volodymyr Zelensky. Attore Nato. Prima di diventare, senza esperienza politica, presidente dell’Ucraina. Giusto il ruolo ritagliato sul personaggio di uno sconosciuto professore di Kiev da lui interpretato per anni nella serie tv “Il servo del popolo”. Con un successo di pubblico senza precedenti in Ucraina, tanto da trasformare lo sceneggiato in un vero partito politico e in un plebiscito elettorale per l’ormai ex comico Zelensky. Una fiction che, col senno del poi, sembra un’iniziazione all’arte del governo e all’esercizio del potere.

In Italia lo sceneggiato, acquistato di recente dall’emittente LA7, si è rivelato, invece, un flop. Forse siamo più smaliziati o, semplicemente, più adusi a non avere presidenti eletti.

Sull’altro fronte della guerra dei video c’è il numero due della Federazione russa, il ministro degli Esteri Sergej Lavrov. Che è meno loquace del presidente dell’Ucraina Zelensky. Il quale, avendo forse finito il video tour che ha toccato tutti i pulpiti istituzionali d’Occidente, è approdato a “Porta a porta” di Bruno Vespa, da sempre considerata la Terza camera della Repubblica italiana. Nella sua prima intervista alla televisione italiana, come annuncia trionfante la Rai, Zelensky ha elogiato l’Italia e il suo presidente del Consiglio. Meno male. Con qualche distinguo, ha avuto parole di apprezzamento pure per Papa Francesco che, però, non sempre ha aderito alle sue richieste. L’appunto particolare è quello della presenza di una donna russa accanto a un’ucraina nella via Crucis dello scorso Venerdì Santo.

Ma torniamo a Sergej Lavrov, anche lui ormai dedito alle apparizioni televisive. Quasi in contemporanea a quella rilasciata in Italia, a “Zona Bianca”, talk show di Mediaset, Sergej Lavrov ha concesso un’intervista a Al Arabya, emittente saudita con sede a Dubai negli Emirati Arabi. Un’ora di intervista in inglese, lingua che Lavrov parla correntemente. Un tempo infinito in tv per ribadire il punto di vista russo su “l’operazione speciale” in Ucraina.

Nel contesto, non senza ironia, il ministro dà pure alcuni consigli a coloro che, turbati dal conflitto Russia-Ucraina, non riescono a dormire. Ecco come calmare i nervi, secondo Lavrov. Che usa più volte il verbo “Imagine”, come nella canzone di John Lennon, ribaltando con nero umorismo la strofa più nota: “Imagine all the people livin’ life in peace”. Invece: “Immaginate che la guerra sia in Africa. Immaginate che sia in Medio Oriente. Immaginate che l’Ucraina sia la Palestina. Immaginate che la Russia sia gli Stati Uniti”. E apre le mani come per palesare che non c’è altro da aggiungere. Si può andare a dormire. Sperando che il sonno della ragione non generi, nel frattempo, mostri peggiori.

In Ucraina, dove dal punto di vista della costruzione della fiction sono più attrezzati che in Russia, appena dopo l’ingresso delle truppe di Putin nel loro territorio hanno dato la stura a filmati, spot e manifesti che celebrano la resistenza.

Lo aveva annunciato Zelensky con un video caricato il 7 aprile sul sito ufficiale del governo: “Il coraggio è il nostro brand. Porteremo il nostro coraggio nel mondo”. In effetti cartelloni e slogan come “Be brave like Ukraine” o anche “Bravery to be Ukraine” sono spuntati un po’ ovunque: in Italia, Svezia, Olanda, Regno Unito e Stati Uniti. Un caso da manuale. Emblema della guerra del Terzo millennio. In cui la propaganda mediatica – che è esistita sempre, in tutte le guerre, comprese quelle tra Sparta e Atene – assume i contorni del marketing.

Se n’è accorta per prima la giornalista Selvaggia Lucarelli che ha approfondito un po’ la questione e ha scoperto che dietro il “marchio del coraggio” dell’Ucraina c’è un sito: brave.ua e un’agenzia creativa, Banda Agency, con tanto di logo esoterico (deve essere una fissazione degli slavi questa dei segni occulti). Banda Agency, pluripremiata nel mondo, ha sede a Kiev e a Los Angeles. E ha tanti progetti che coinvolgono perfino Hollywood, compresa la creazione di marchi identitari e una “new campaign for a cannabis brand”.

Andando sulla piattaforma brave.ua si possono scaricare poster, adesivi, magliette, loghi e immagini da stampare. Ci sono anche video. Con immagini reali della guerra, però modificate e patinate in modo tale da persuadere che il diavolo non è così brutto come lo si immagina. Ci anche filmati con l’elogio delle Molotov: “Il coraggio non ha alcuna ricetta se non acetone, polistirolo e benzina”, incita in inglese o ucraino la voce accattivante di un attore. Sul sito pure consigli per sostenere l’Ucraina anche dall’estero.

A Selvaggia Lucarelli non è piaciuta questa “operazione di marketing così ambigua, in cui con la scusa di promuovere il coraggio di un paese in guerra, si sponsorizza, di fatto, l’interventismo”. Non solo. “Tendono a rimuovere il concetto razionale di paura solo per alimentare il conflitto”. Il fascino della guerra, insomma. L’eroismo, il valore, la gloria senza il fango della trincea, il dolore, la violenza, la morte. Come in un videogioco. Un eccesso di enfasi.
Un’esagerazione.

“Un’operazione di war-branding che per essere almeno accettabile andrebbe promossa come tale, senza ambiguità”, sottolinea Lucarelli in un articolo pubblicato dal quotidiano “Domani” col titolo: “Il coraggio ucraino è un brand come i profumi della Ferragni”. Si parva licet, è il caso di aggiungere. Perché la propaganda nell’immaginario collettivo è un vizio da riservare ai cattivi, che sono i russi, va da sé. Lucarelli punta il dito pure sui video che “mitizzano le molotov, deriva inquietante che ha il sapore dell’ultranazionalismo” e fa proseliti nello studio di “PiazzaPulita”, talk show condotto da Corrado Formigli su LA7, dove si inserisce con inconsueta leggerezza nel dibattito sui giornalisti considerati filo–putiniani solo perché cercano di descrivere una realtà più complessa di quella approntata nei video forse “made in Ukraine”.

A Kiev devono avere registi del calibro di Spielberg e, nonostante la guerra, denari da spendere nella realizzazione di filmati da “reclutamento emotivo”, propedeutico al reclutamento fisico, anche solo per procura.

L’ultimo è quello in bianco e nero dal titolo “Il male è tornato”, un monologo di un quarto d’ora di Zelensky, nel suo ruolo di presidente del paese, sullo sfondo di una città ucraina distrutta dalla guerra. Il video, prodotto per ricordare la vittoria degli Alleati e la resa incondizionata dei nazisti l’8 maggio 1945, è stato messo in rete alla vigilia delle celebrazioni in Russia del “Giorno della vittoria nella grande guerra patriottica” del 1941-1945.

Un modo per anticipare Putin. E le immagini che avrebbe prodotto la sua parata oceanica, 11 mila militari e 131 unità equipaggiate. Con la sfilata anche del “reggimento immortale”, un’idea identitaria di Putin che risale a dieci anni fa. Da par suo. Cioè, nel solco dell’invenzione della tradizione.

In pratica figli, nipoti e pronipoti dei caduti nella “Grande guerra patriottica” o dei veterani della lotta contro il nazismo, sfilano durante la festa nazionale del 9 maggio. Portano con loro le foto in bianco e nero e i ritratti dei loro cari ormai scomparsi, “il reggimento immortale”. Che, per ovvie ragioni generazionali, è destinato ad aumentare di numero ogni anno di più. La Russia, allora Urss, ha pagato il più alto tributo di vittime durante la Seconda guerra mondiale, più di 25 milioni di cittadini, militari e non. I discendenti sono sempre di più.

Anche Vladimir Putin ha sfilato con la foto del padre, sommergibilista della marina militare sovietica e “sabotatore” per l’Nkvd, l’antenato del Kgb, durante la guerra. Un‘immagine che riporta alle tragedie che aveva vissuto la famiglia Putin durante l’assedio tedesco di Leningrado.

Putin, che è nato nel 1952, non ha visto la guerra, ma ha conosciuto un’infanzia più che misera a Leningrado. Abitava in una kommunalka, una casa in comune con altre famiglie, molto diffusa nell’Unione Sovietica. Senza giochi per trastullarsi, si andava per strada oppure a caccia dei topi che infestavano gli edifici.

Il piccolo Putin ne ricavò due insegnamenti. Uno è che “se la rissa è inevitabile, colpisci per primo”. L’altro è di non mettere mai un topo all’angolo. Se non ha via d’uscita, il topo si rivolta contro e reagisce aggredendo.