L’apertura del cantiere del centrosinistra, che dovrebbe portare alle primarie fra il 16 e il 24 luglio, ha svegliato anche i leader del centrodestra, che dopo la convergenza sulla candidatura di Lagalla a Palermo, avevano deciso – non di comune accordo, per la verità – di far slittare i discorsi sulle Regionali al 13 giugno, terminato lo spoglio nei Comuni. Una tregua di facciata. Ma la situazione è fluida e anche nella coalizione di governo continuano le manovre per fare fuori, politicamente parlando, Musumeci.
Martedì prossimo Giorgia Meloni sarà a Palermo per presentare la lista di Fratelli d’Italia (che ingloba i rappresentanti di Diventerà Bellissima) al Consiglio comunale. Ma nel corso della sua puntata in piazza Verdi, di fronte al Teatro Massimo, non potrà mancare un passaggio pro-Nello, che per Giorgia resta l’unica opzione. Il “candidato naturale”. Ciò non toglie che per tutto il resto della compagine – da Salvini a Micciché, passando per Lombardo – i piani siano altri. E anche le suggestioni, dal momento che uno dei nodi più aggrovigliati, per i No-Nello, sarà trovare un’alternativa credibile e sostenibile sotto il profilo elettorale. Fin qui i sondaggi non hanno dato abbastanza spunti e l’unico nome che rimane in campo – per logica più che per reale volontà del diretto interessato – è quello di Raffaele Stancanelli. Sarebbe un ottimo punto di caduta per tenere insieme la coalizione, garantendo alla Meloni un esponente di partito qualora fosse disposta a rinunciare alla sua testardaggine.
Ma nelle ultime ore, come riportato da ‘La Sicilia’, si fa largo un altro insospettabile. Si tratta di Emiliano Abramo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, e già visto all’opera all’Ars da consulente gratuito: ha dato una mano a scrivere la legge sulla povertà, una delle pochissime approvate dall’Assemblea negli ultimi mesi. Anche se il peso elettorale è tutto da misurare: Abramo, infatti, nel 2018 è sceso in campo contro Pogliese per diventare sindaco di Catania, e ne è uscito con le ossa rotte: appena 4 mila preferenze, col 3,58%. Ma il punto non è la forza elettorale, quanto la capacità di allargare il campo. Un concetto carissimo a Gianfranco Micciché, ad esempio, che non ha mai abbandonato del tutto l’ideona del modello Draghi e vorrebbe rompere le uova nel paniere al centrosinistra alla vigilia delle primarie. Abramo, che è amico del neo forzista Nicola D’Agostino, è stato uno degli ispiratori dell’affermazione di Pietro Bartolo alle Europee del 2019. Bartolo è uno dei papabili candidati per la competizione online di Pd e Cinque Stelle. Un caso?
Un’altra possibile contender al miscuglio delle primarie è Caterina Chinnici, che Lombardo non ha mai fatto mistero di apprezzare. L’ex governatore, che nelle ultime settimane ha rivisto Salvini per fare un tagliando alla federazione Lega-Mpa, e resta un riferimento del 5 Stelle Cancelleri, non ha ancora estratto dal cilindro il suo nome prediletto: l’ex magistrato Massimo Russo, altro moderato doc, già visto all’opera nel suo governo come assessore alla Sanità. E questa passione per i “moderati” si allarga fino a Forza Italia. Fino a Micciché e al tentativo di costruire un centro-destra, anziché un destra-centro schiacciato sulle posizioni di Meloni e Fratelli d’Italia. Resta della partita anche il segretario della Lega Nino Minardo, che però avrebbe voluto avere qualche rassicurazione in più, e soprattutto più tempo, per lanciarsi: anche il deputato modicano, per quanto valga, ha una formazione moderata e ha cercato di “trasformare” il Carroccio dall’interno, portandolo ad assumere un’altra connotazione per le Amministrative (sotto il simbolo di Prima l’Italia).
Ma persino Stancanelli si è sempre professato moderato: “Non capisco cosa vuol dire “essere moderato” in politica. Anche io sono un moderato nella vita – disse in un’intervista a Buttanissima nell’agosto 2019 -. Sono educato, saluto la gente, mangio in modo composto. Ma cosa c’entra la politica? Essere coerente con le proprie idee non vuol dire essere estremista”. La ruota può riprendere a girare. Anche se l’impostazione è ormai chiara. La data del 13 giugno, segnata in rosso sul calendario, segnerà l’avvio delle consultazioni per individuare un’alternativa a Musumeci e mettere la Meloni all’angolo. Se Giorgia dovesse accettare di rinunciare alla sua scommessa, e puntare un euro su qualcun altro, ben venga. Altrimenti l’ex coalizione di centrodestra, rimaneggiata ma ugualmente in grado di competere, cercherà di ammiccare all’altra metà campo con un nome consono alle aspettative di normalità cui molti aspirano. Lontani dai picchi di Crocetta, e anche da quelli di Musumeci. Che non è stato abbastanza bravo a ingraziarsi i partiti e a liberarsi dalle catene del suo cerchio magico. Per questo nessuno lo vuole più (e la Meloni, che finge sorpresa, lo sa benissimo).