Hanno permesso al sistema di reggere l’onda d’urto del Covid, erogando una serie di prestazioni che la sanità pubblica, impreparata alla pandemia, si sognava; e contribuiscono tuttora a non ingolfare l’attività degli ospedali, facilitando l’accesso dei cittadini al mondo variopinto degli esami clinici. Eppure contro i laboratori d’analisi sembra in atto una vera e propria crociata. A livello regionale i convenzionati soffrono la “distanza” con l’assessorato della Salute sulla previsione degli aggregati di spesa, tuttora fermi al 2019; ma i problemi arrivano a Roma e si moltiplicano col passare dei giorni. All’introduzione del nuovo nomenclatore tariffario, che di fatto comprime del 40% i rimborsi per le prestazioni erogate in appoggio alla sanità pubblica (provvedimento previsto per il 1° aprile, ma rinviato a fine anno), si aggiunge l’incubo delle nuove Farmacie dei servizi, che sulla scorta del ddl Semplificazioni si apprestano a diventare erogatori alla pari dei laboratori di cui sopra. Dei concorrenti, in pratica.

Anche se a sentire Pierangelo Clerici, presidente di FISMeLab, “dietro un risultato derivante dall’esame di laboratorio c’è un processo diagnostico determinato da professionisti del settore. La governance di questo processo – ovvero la scelta dei sistemi analitici, la formazione del personale, il controllo in remoto, i controlli di qualità, la validazione e la refertazione – deve essere in capo a un direttore di laboratorio, professionista del settore”. Nel mondo della sanità non ci si può improvvisare tuttologi, eppure secondo la proposta del patriota Marcello Gemmato, i farmacisti – come si legge da un articolo sul Messaggero – potranno effettuare i test diagnostici per il contrasto all’antibiotico-resistenza, richiesti dal medico di medicina generale o del pediatra di libera scelta «ai fini dell’appropriatezza prescrittiva», tutti i tipi di vaccinazioni, tamponi diagnostici salivari e orofaringei con la raccolta dei campioni. Quelli che ora si fanno soltanto in ospedale o nei laboratori. Gemmato è un farmacista, ma questa sarà senz’altro una coincidenza. Al Ministro Schillaci, invece, spetta l’incombenza di raccogliere le perplessità e le proteste di un mondo che si sente defraudato.

“Il riferimento – si legge nella lettera di Clerici, che rappresenta 5 mila laboratori italiani e oltre 30 mila professionisti – è all’inserimento dei test diagnostici per il contrasto all’antibioticoresistenza fra le prestazioni erogabili dalla Farmacia dei Servizi. Ferma restando l’indiscutibile professionalità della categoria, è altrettanto indiscutibile, però, che i farmacisti non possiedono una formazione adeguata all’effettuazione ed alla refertazione di esami di laboratorio. La formazione accademica, curricolare e professionale di coloro che svolgono attività di medicina di laboratorio non può essere equiparata a quella di altra formazione accademica. La concessione alle farmacie di eseguire in pandemia i tamponi per la ricerca del virus SARS-Cov2 era dovuta allo “stato d’emergenza” e l’emergenza una volta cessata non può diventare routine”. Ma il disegno di legge nel giro di qualche giorno potrebbe diventare legge, dato che è previsto il suo approdo in Consiglio dei Ministri. Prima di allora FISMeLab auspica un tavolo di confronto con dentro il Ministero della Salute, l’Istituto Superiore di Sanità, il Consiglio Superiore di Sanità e tutti gli attori in causa “al fine di definire in maniera corretta i ruoli e le competenze tra professionisti della medicina di laboratorio e farmacisti, nell’interesse della certezza diagnostica e della tutela del paziente”.

Altro fronte caldissimo è l’introduzione del nuovo nomenclatore tariffario, che qualche giorno fa è stato al centro del confronto, in assessorato, col direttore della Pianificazione strategica, Salvatore Iacolino. La data del 1° aprile sembra scongiurata, giacché lo stesso ministro Schillaci ha acconsentito, nel corso della Conferenza Stato-Regioni che si è tenuta ieri pomeriggio, al rinvio al 31 dicembre. Tuttavia il taglio netto del 40% dei rimborsi per le prestazioni erogate, è un rischio da scongiurare al più presto e in ogni modo. Significherebbe, da un lato, non poter garantire le prestazioni gratuite per i cittadini – che sono obbligati a recarsi nelle strutture a pagamento – ma anche non riuscire a salvaguardare il posto di lavoro per molti dipendenti dei laboratori analisi e degli ambulatori specialistici. A differenza di alcune regioni del Nord, come Lombardia ed Emilia Romagna, che hanno il diritto di correggere il tiro (modificando il decreto del Ministero), la Sicilia non può, giacché la Regione deve fare i conti con il rigore del piano di rientro dal disavanzo sanitario, che non ammette deroghe (pena il conflitto di competenze).

Eppure sarebbe bastato un segnale di vicinanza che, a sentire i massimi rappresentanti, non è mai arrivato. L’unico ad aver sollevato la questione è il governatore del Lazio, Francesco Rocca, il quale – secondo il sen. Vincenzo D’Anna, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini regionali dei Biologi (FNOB) – ha “agito nel generale silenzio e disinteresse di tutti quanti gli altri suoi colleghi, soprattutto i governatori del Sud le cui regioni sono maggiormente colpite dal provvedimento governativo dal momento che non hanno la possibilità di rifondere risorse finanziarie per poter incrementare le tariffe di remunerazione”. Tutto questo “mentre Lombardia ed Emilia Romagna hanno invece già prontamente rimpinguato, con fondi propri, l’entità di tali tariffe”. Insomma: “un’ulteriore sperequazione” che “colpisce le strutture sanitarie e le popolazioni del Meridione oltre alle migliaia di operatori che non potranno materialmente erogare prestazioni per l’inconsistenza della remunerazione prevista nel nuovo tariffario capestro”.

A questi problemi, in Sicilia, se ne aggiungono degli altri che riguardano gli aggregati di spesa. Ovverosia la cifra che le Asp devono corrispondere ai laboratori d’analisi e agli ambulatori specialistici convenzionati (tra cui studi dentistici, poliambulatori ecc.) sulla scorta delle prestazioni da garantire (al posto della sanità pubblica) e dei relativi costi. Questi aggregati sono fermi al 2019, anche se nel corso delle ultime settimane c’è stato un lieve avvicinamento tra le parti. Vale la pena riaccendere un faro: “Il dirigente generale Iacolino – ha segnalato il Cimest, il Coordinamento Intersindacale della Medicina specialistica di territorio – ha esposto in modo chiaro e preciso i termini di una nuova proposta per il 2024. L’assessorato parte da un’assegnazione di 308 milioni, ai quali vengono aggiunti 8 milioni per le prestazioni critiche per un totale quindi di 316 milioni”. Ma questi soldi non bastano: “Nel 2023 l’extra budget si attesta a circa 80 milioni, quindi il nostro fabbisogno programmato per l’anno in corso è pari a 372 milioni. Questo significa che i nostri budget, riportati mensilmente, finiranno il 24 di ogni mese e pertanto dovremmo sospendere l’erogazione delle prestazioni mediamente giorni 24 di ogni mese”. Chi arriva sarà tagliato fuori. Potrà rivolgersi agli ospedali, ritrovandosi nell’imbuto delle liste d’attesa; o ai privati a pagamento. Perdono (quasi) tutti.