È la santa del miracolo dei miracoli. Una santa trasversale, catalizzatrice. Una santa capace di unire atei e credenti, bianchi e neri, donne e uomini, palermitani e non. E il suo miracolo fa il giro del mondo. Perché è sì vero che Rosalia de’ Sinibaldi salvò Palermo dalla peste del 1624, ma anche San Paolo del Brasile, Caracas in Venezuela, Monterey in California. Ciò che più sorprende della “santuzza” a cui il capoluogo siciliano dedica festini, acchianate e preghiere, così, non è tanto la devozione oltreoceano quanto la capacità di muovere le masse, di essere l’artefice di un flusso migratorio inverso che dal Nord portava al Sud. Non a caso tra il Cinquecento e l’Ottocento l’espressione “ha fatto Palermo” significava “ha fatto fortuna”.

Rosalia come santa internazionale, dunque. Una santa capace di compiere un altro unico grande miracolo: unire i territori spesso distanti. Ed è a lei, alla sua eccezionale capacità aggregativa ante litteram, alla narrazione della sua vita, che viene dedicata “Rosalia eris in peste patrona”, la mostra a Palazzo Reale di Palermo fino al prossimo maggio. Attraverso i capolavori di Van Dyck, Novelli, Petri, La Barbara e tanti altri si può scoprire tutto quello che avreste voluto sapere su Santa Rosalia ma non avete mai osato chiedere. Come quando si rivolge alla Trinità per intercedere in favore della cittadina Castiglione delle Stiviere, posta ai piedi delle alture che delimitano il lago di Garda verso la pianura padana. La risposta è tutta lì, nel superbo dipinto di Pietro Novelli dove, su un cartiglio-diploma, s’impone la scritta che spazza via ogni dubbio. “Eris in peste patrona”. Protettrice della peste, ovunque sia.

Una mostra inedita che racconta attraverso 41 opere più disegni preparatori e materiali a stampa e d’archivio il culto e la devozione alla santa che, proprio in quel palazzo che oggi la ri-ospita, visse. L’esposizione ripercorre uno dei momenti più critici della storia di Palermo, quel cinquantennio che vide la città colpita da due terribili pestilenze. È quello il momento in cui Palermo si rifugia nella preghiera. Cerca conforto nelle Sante cinque Vergini, nei Santi Rocco e Sebastiano, San Carlo Borromeo. È nel 1624 però che, dopo lo scoppio di una pestilenza ancora più devastante, mentre sul Monte Pellegrino si trovano i resti di Rosalia, romita palermitana vissuta nel Medioevo, il morbo cessa. “Poteri taumaturgici straordinari”, fu la voce del popolo che la acclamò e proclamò come unica patrona contro la terribile peste.

Una popolarità senza confini, antesignana della globalizzazione, dei social network. E tutto questo successo è merito anzitutto di opere d’arte commissionate in primis ad Anton Van Dyck, il grande pittore fiammingo trovatosi a Palermo in quei tristi frangenti. Così la nobildonna che abitava alla corte di Ruggero II torna a casa per la seconda volta, questa volta entrando dalla porta principale. Dopo aver ri-aperto lo storico ingresso da piazza del Parlamento infatti, dopo il successo di “R patrona” – lo spettacolo di Salvo Piparo tra pupi, mangiafuoco, musica e teatro che è andato in replica proprio il 4 settembre – ora è tempo di arte. Promossa dalla Fondazione Federico II, in sinergia con l’Assemblea Regionale Siciliana insieme al Dipartimento Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, la Soprintendenza per i Beni Culturali e l’Arcidiocesi di Palermo, “Rosalia eris in peste patrona” promette di sbancare il lunario. E scusate se è poco.