I più distratti vadano a rileggersi l’intervista di qualche giorno fa a Fabrizio Ferrandelli, pubblicata su questo giornale. Parlando di Leoluca Orlando, e dell’emergenza rifiuti trasformata in consuetudine, il capo dell’opposizione, tra le righe, affermava che “siamo ostaggi di un narciso con il fastidio dell’amministrazione. Orlando trova frustante occuparsi del quotidiano”. E la fotografia di Ferrandelli, che stando dall’altra parte della barricata potrebbe sembrare vicinissima a essere faziosa, in realtà non è altro che un’impressione diffusa. Non solo all’interno di palazzo delle Aquile, ma anche fuori. In città. Fra i cittadini. Fra i cumuli di monnezza che prendono fuoco. Sotto i pali dell’illuminazione che non illuminano. Nelle pozze che inondano Mondello quando piove. Alle fermate dei tram che non arrivano mai (e stanno indebitando Amat, l’azienda dei trasporti, fino al collo).

Sono alcuni dei problemi di Palermo, su cui il sindaco si guarda bene dall’intervenire pubblicamente. Se non per tacciare il capo di Rap (la società che raccoglie i rifiuti per conto del Comune e che ha “vanniato” crediti per 55 milioni di euro) per lesa maestà nei confronti del “capo” che lo stesso “capo” aveva provveduto a nominare per far contento il suo nuovo partito, quello democratico. Lo stesso partito a cui il sindaco non ha dato un singolo contributo d’idee, né nell’uno né nell’altro verso, durante la complessa campagna congressuale che ha portato al ritiro della Piccione, all’annullamento delle primarie e a un lancio di strali senza precedenti.

I problemi elencati sopra, la maggior parte di carattere amministrativo, quelli su cui raramente mette bocca, dimostrano come Orlando sia “tangente” alla quotidianità di Palermo. Come non gli importi granché della viabilità impossibile per la presenza ingombrante dei rifiuti, o per gli incroci stradali ridotti al buio, o per la presenza drammatica dei parcheggiatori abusivi che danno una sforbiciata al Pil cittadino. O dei conti che annaspano e che richiedono l’intervento della Corte dei Conti un giorno sì e l’altro pure. Si fa meglio e prima a inaugurare giardinetti dimenticati o biennali d’arte, o presenziare alla prima del Teatro Massimo, a fianco del presidente Mattarella che era già reduce da sette e rotti minuti d’applausi in quel della Scala di Milano. Per ricevere, in nome della cultura e della bellezza, un riflesso condizionato che ne esalti le capacità di marketing, senza le quali Orlando non sarebbe il “professore”. Senza le quali Orlando non sarebbe Orlando.

E allora, in queste ore in cui l’ennesima trovata sui migranti trova spazio sui media nazionali – siamo solo a inizio anno e non bolle niente di più intrigante in pentola – tornano in mente le parole di Ferrandelli. Di un sindaco che il sindaco non lo sa fare. O magari non lo vuole fare, perché si annoia. Si annoia ad andare appresso alle magagne, quello per cui è chiamato a decidere ormai da cinque legislature e parecchi lustri. E per cui è pagato profumatamente, oltre che eletto degnamente. A lui piace la buona società, piacciono gli applausi, qualche ola. I complimenti. Piace la luce dei riflettori, che una volta gli regala Mattarella. E la volta dopo Salvini, il perfetto prototipo del nemico contro cui scagliarsi. Che dall’alto della sua poltrona del Viminale, dove ripassa gli ultimi sondaggi che lo danno in crescita, giustamente non si spiega come il sindaco abbia voglia d’attaccar briga sui migranti con tutto quello che di grave succede a Palermo.

Orlando, che aveva inaugurato il suo show contro Salvini all’indomani dei fatti della Diciotti, regalando magliette rosse a destra e a manca in occasione della festa della Santuzza, prosegue sul tema dell’accoglienza e sfida persino la Legge, oltre che l’odiato ministro. Siccome non sopporta il fatto che ai migranti in possesso di permesso di soggiorno non possa essere rilasciata la carta d’identità o la possibilità di accedere ad altri servizi garantiti dallo Stato, ha chiesto al capo area dell’Anagrafe di palazzo delle Aquile di “approfondire tutti i profili giuridici anagrafici” che deriveranno dall’applicazione della norma, ma, nelle more dell’approfondimento, “impartisco la disposizione di sospendere, per gli stranieri eventualmente coinvolti dalla controversa applicazione della legge, qualunque procedura che possa intaccare i diritti fondamentali della persona con particolare, ma non esclusivo, riferimento alle procedure di iscrizione della residenza anagrafica”. Un ordine di servizio che mette in discussione una Legge e che per questo va fuori legge, rischiando di far deragliare persino gli uffici. Gran bel servizio.

E’ qui che risiede il bluff. Chiedere di approfondire, dare disposizioni… E poi lavarsene le mani. Fa tutto parte di un grande piano, evidentemente. Far parlare di sé. Perché ancora dovranno spiegarci, o sarebbe meglio che lo facesse Orlando, come è mai possibile sospendere un decreto dello Stato, sebbene sia ritenuto “criminogeno”, per volontà di un sindaco. Come può un primo cittadino, e molti altri che ne hanno raccolto la provocazione (da De Magistris a Pizzarotti, passando per il reggino Falcomatà e il fiorentino Nardella), a prevalere su una norma votata dal Parlamento italiano, e firmata dal Presidente della Repubblica. A vincere una battaglia di disobbedienza civile – anche se Orlando nella sua conferenza stampa ha spiegato che si tratta di “semplice applicazione dei diritti costituzionali che sono garantiti a tutti coloro che vivono nel nostro paese” – contro Salvini. Come faranno questi baluardi di legalità, da Nord a Sud, a ignorare una legge italiana senza risponderne “personalmente, legalmente, civilmente, e penalmente” come fa notare sommessamente il Ministro?

Sarebbe utile che Orlando spiegasse ai suoi concittadini questo spiccato interesse, non per i migranti in quanto tali (e ci mancherebbe pure), ma verso temi così distanti dall’applicazione quotidiana del suo mandato. Ma forse una spiegazione la troviamo: sarà mica che, oltre a Matteo Salvini, divengono ogni giorno più popolari anche i suoi critici? Sarà che i mezzi di distrazione di massa, tanto populisti quanto facili da emulare, vanno di moda anche a Palermo?

La luce dei riflettori non ha mai accecato Leoluca Orlando, che anche stavolta, con un tempismo sospetto e audace, riesce a riversare altrove, per qualche ora, giorno o settimana che sia, l’attenzione dei palermitani. Che però – Salvini o non Salvini, migranti o non migranti – si ritroveranno ancora a lungo con la monnezza sui marciapiedi. La cultura è bella assai e nessuno condanna Orlando per questa sua attrazione. Ma se accanto alla cultura, a Manifesta, ai nastri tagliati e ai lustrini dorati, alle lezioni in tedesco e alle cene con Bregovic, aggiungesse un qualche atto di ordinaria amministrazione, allora forse la città si accorgerebbe di avere un sindaco. Un sindaco colto, ma pur sempre un sindaco.