Sono una mano santa per chi soffre di cervicale. I fisioterapisti dovrebbero mandare i pazienti in villeggiatura a Siracusa con l’obbligo di fare ogni giorno il tour dei palazzi antichi e seguire col collo l’inclinazione delle insegne che ne indicano nome ed epoca. Ortigia sembra l’isola dei cartelli storti, che di prima mattina si notano di più. Dopo, con i turisti, i soliti che devono passare con le macchine dove non si dovrebbe e potrebbe, col basso continuo di stoviglie in allestimento nelle centinaia di bar, ristoranti, paninerie, piadinerie, birrerie, friggitorie, con l’impegnativo zigzagare di pedoni, ciclisti e motorini fra i dehors (dovrebbero mandare i marines in villeggiatura qui per imparare a svicolare, a scartare veloci, altro che il sergente Hartman di Full Metal Jacket)… dopo, quando il giorno si impossessa dell’isola, i cartelli sfumano nel caos, si dissolvono, diventano quasi invisibili.

All’alba no. E viene di chiedersi, e c’è certamente chi lo sa, chi è stato lo scienziato, l’illuminato tecnico, la geniale commissione aggiudicatrice, l’arguto assessore o il lungimirante sindaco che scelse questo civettuolo sistema per spiegare ai passanti – forestieri o borgatari o gente della Grottasanta, o Santa Bonacia, o Teracati – la famiglia a cui apparteneva quel palazzo e in che secolo venne costruito.

L’elegante palo e il leggiadro sostegno del cartello in ferro battuto sono precari per default, traballati per costituzione. E, traballando traballando, accade che cadano o se li rubino e rimanga solo il palo a mo’ di triste simulacro di memoria. Accade ad esempio a Palazzo Greco, in corso Matteotti, mica in un vicolo della Graziella, in quella che è la sede dell’INDA, mica i “Calypso apartments” (nome inventato, chiediamo venia se esistono davvero). Ecco, a Palazzo Greco, dinanzi il portone del Dramma Antico, accanto alle leggendarie catene che diedero il nome alla compagnia di giovani più celebre degli anni ’60, “i picciotti re catini”, s’erge questo cetriolo di ferro, imbiancato in cima a ricordare che cercarono di rimediare ma senza successo.

In procinto di seguire la sorte del cartello di Palazzo Greco sembra quello della chiesa di San Benedetto, nella centralissima e affollatissima via Capodieci. La Chiesa sembra mal messa di suo, il cartello sembra invece avere ormai rinunciato e in un tripudio di ruggine, calce biancastra e mestizia. Sa di averne per poco. Forse una caduta sarebbe più dignitosa.

Un po’ meglio, seppur pericolosamente sbilanciato in avanti, quasi volesse buttarsi giù, come si faceva un tempo dalla Sibbia, è il cartello di palazzo Bellomo… cioè Palazzo Bellomo, che ospita il museo Bellomo, il tempio della conservazione della memoria della Siracusa medioevale e dei secoli del barocco…ecco proprio quello è indicato dal cartello che si vuole buttar giù, forse al cospetto di ciò che gli sta intorno su via Capodieci diventata in unico grande caciaroso e variamente olezzante ristorante/bar a cielo aperto. Al punto che sotto l’insegna puntualmente inclinata (stavolta all’indietro) della Chiesa di Gesù e Maria, a ornare la facciata seicentesca c’è il totem di un ristorante che promette alla modica spesa di 25 euro “Vaccino Covid: 7 antipasti, 2 primi, un secondo, un dolce, acqua, vino amaro e caffè”, il tutto – con relativa freccia – a 10 metri da Gesù e da Maria, con dehors relativo a impreziosire la via. Questo proprio di fronte all’ex via Bellomo, poi ex Ronco Bellomo, ora spazio privatissimo, protetto su via Capodieci da un cancello, su via Roma addirittura da un muro. E’ l’evoluzione della privatizzazione dei Ronchi: la privatizzazione delle vie. Questa peraltro denunciata da anni e a più riprese.

Ma forse ancor più imbarazzante, per un Comune che punta sul connubio turismo e cultura, è la passeggiata in via Landolina, proprio accanto a Palazzo Vermexio. Su quella via, una sorta di salotto siracusano, una strada inevitabilmente percorsa da Sindaco e assessori (e Soprintendenti pure) fanno beffarda mostra di sé i cartelli sgarupatissimi di Palazzo Chiaramonte (del trecento) e Palazzo Francica Nava (del quattrocento). Sono quasi uno di fronte all’altro, spudorati come chi li lascia lì tutti storti a rappresentare un inno beffardo all’astigmatismo.

Ma se ci si allontana dalle strade della movida e della politica cittadina il trend “cervicale” non s’attenua. Nella bellissima, bedendbrekfastissima, e mentre cadentissima, via Alagona l’insegna del Bagno Ebraico si butta a sinistra come ipotizzava Totò. Invece un po’ ritrosa, pendente verso dietro è l’insegna della chiesa di San Salvatore in un ronco della Maestranza. A destra come s’addice ai nobili è lievemente piegata l’insegna di “Palazzo Gargallo al Carmine” mentre lì accanto dignitosamente resiste, quasi dritto il cartello della Chiesa del Carmine. Perfetta è invece l’insegna della “Chiesa e Convento di San Domenico” che per il resto sta cadendo a pezzi.
Diritta ma scolorita infine l’insegna di “Palazzo Corpaci Museo del Cinema”.

La mattina presto si notano di più queste piccole vergogne. I turisti le notano di più queste piccole vergogne, loro non vengono in città solo per i frittimisti e i mojito ma anche per i monumenti, e delle insegne decenti, che dei monumenti sono il biglietto da visita, costerebbero davvero poco.

E per fortuna che ormai tutti abbiamo i telefonini con l’ora che lampeggia h24. E per fortuna che l’arredo urban-gastronomico-etilico di Ortigia ci invita a guardare verso il basso. Perché, oltre ad essere l’isola dei cartelli storti, Ortigia è anche l’isola degli orologi rotti. Va bene, in fondo sono solo due, però fanno la loro brutta figura.

Quello in piazza Archimede è plasticamente fissato alle 5 meno 10 con un garrulo “puttuso” sul quadrante che ci priva della vista di buona parte del 5 e di tutto il 6. Ci saranno certamente gravi e insormontabili motivazioni tecnico-economico-amministrative che impediscono di aggiustare l’orologio in una delle due piazze principali di Siracusa però certo quel quadrante col buco bello non è, dignitoso nemmeno.

Più intrigante il non lontano orologio della facciata della chiesa dell’Immacolata. L’orologio ha due facce, una volta verso piazza Corpaci, l’altra verso via Maestranza. È fermissimo ma offre all’osservatore una varietà di orari. In piazza Corpaci infatti è fermo alle sette e 10, in via maestranza alle 11 e un quarto. In questo caso forse ad aggiustarlo dovrebbe essere la Curia. Ma certamente la questione andrebbe inquadrata nel più complessivo problema di gestione delle tantissime chiese di Ortigia, in gran parte non usate, in parte sconsacrate, che rischiano di cadere a pezzi. Basti pensare alla sontuosa e immensa chiesa del Collegio, immensamente chiusa, mentre sotto di lei si dipana il bazar della nuova Ortigia, laica, vitale, affamata, moderna, smart, giovane, furba e un po’ triviale.

(da Strummerleaks, blog di Toi Bianca)