Prima ha voluto specificare che dietro l’ordinanza “non c’è alcuna volontà di scontrarsi col governo centrale”, tanto meno “pregiudizi di carattere politico”. Poi ha ringraziato gli amici di ventura, che hanno fornito appoggio e sostegno dopo la stesura del provvedimento. Fra questi il senatore Matteo Salvini, che si è autoproclamato “ispiratore” dello sgombero; ma anche Giorgia Meloni e l’insospettabile Maria Stella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei Deputati. Nello Musumeci, un attimo dopo aver fatto nomi e cognomi, ha ribadito che “su questa materia non si può pensare di fare campagna elettorale o politica di bassa cucina”. E ha persino incolpato la delegazione parlamentare siciliana, a Roma, di non fare squadra: “Se almeno una volta avessero trovato l’orgoglio e l’opportunità di stare assieme per richiamare il governo alle proprie responsabilità – ha spiegato il presidente della Regione – non saremmo arrivati a tanto”.

La sensazione, però, è che la manovra sui migranti abbia un tornaconto politico, chiaro e legittimo allo stesso tempo. Come riportato da parecchi organi di stampa, il governatore si sarebbe complimentato con chi gestisce le sue pagine social, dopo aver appreso che il post strappalike sull’ordinanza, fra sabato sera e domenica, avrebbe raggiunto i tre milioni di contatti. Eppure Musumeci, pressato su un’eventuale ricandidatura – che passa da un centrodestra unito come nel 2017 – svicola, affermando che “io non appartengo al turno di settembre”, quando si vota in sette Regioni.

Ma le “tre P” – propaganda, populismo, pugno duro – contraddicono la visione essenzialmente purista. E parlano della nuova fase di Musumeci: che da un lato non ha mai spezzato il legame con la sua storia (di fronte a chi continua a chiamarlo “fascista perbene” si gonfia il petto inorgoglito), ma dall’altro ha abbracciato in maniera nuda e cruda la “questione leghista”. Sul tema dei migranti non si era mai espresso in maniera così convinta e feroce. Oltre a farlo per tutelare la salute dei siciliani, come dice, è chiaro il messaggio a Salvini. E la “sfida” a Cateno De Luca, sindaco di Messina, che ha già declinato in più modi la versione cavalleresca del comandante in capo (a partire dall’occupazione dello Stretto), e dal leader della Lega aveva ricevuto apprezzamenti in pubblico.

Unendo i puntini di questa due giorni di passione, che potrebbe avere strascichi in Tribunale, viene fuori il Musumeci 3.0. Sempre più attratto dalle sirene del Carroccio, con cui – ma questa è un’ovvietà – non condivide né la storia, né il percorso né la vocazione separatista degli inizi. Bensì, dei progetti futuri. A partire da una federazione tra la Lega e la sua Diventerà Bellissima, che potrebbe diventare un passepartout per la conferma a Palazzo d’Orleans, nel 2022. O per qualche seggio al parlamento nazionale, che fa sempre gola. Quale occasione migliore per scatenare l’inferno, quindi. A un certo punto della conferenza di ieri, dove la politica è entrata una marea di volte, il governatore siciliano è parso un Candiani qualunque: “Siamo di fronte a numeri impressionanti – ha osservato, agitando alcuni fogli –. Soltanto nel mese di luglio, sono arrivati sulle coste siciliane 7.067 migranti, rispetto ai 1.088 dell’anno scorso. E ad agosto, il calcolo si ferma a metà, ne sono già sbarcati tremila, rispetto ai 1.268 complessivi del 2019”. Tra parentesi: col “capitano” ministro dell’Interno.

Musumeci, diventato abile nel distribuire pagelle (“L’80% dei dipendenti regionali si gratta la pancia”), ha avuto da ridire persino sul capo del Dipartimento Immigrazione, il prefetto Michele Di Bari: “E’ una gran brava persona, ma non ha competenze sulle politiche migratorie”. Lagnandosi per l’atteggiamento del Ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, che dopo una decina di telefonate non ha voluto disfarsene. E ha mandato sommessamente a quel paese (“Ma non ci fasciamo la testa”, ha dichiarato) il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, per aver ritenuto “incompatibile” con le norme costituzionali l’articolo 31 dello Statuto, a cui il governatore avrebbe voluto ricorrere in casi d’emergenza – come la pandemia – per disporre del controllo delle forze armate. “Non c’è stato nemmeno bisogno di riunire la commissione paritetica. Secondo il governo Pd-Cinque Stelle quell’articolo è morto e sepolto. Ne prendiamo atto”.

Inclinazioni autoritarie, più che autorevoli, che Musumeci non aveva mai manifestato in maniera così repentina. Non è l’uomo a essere cambiato – ha fatto dell’onestà e della misura i suoi tratti distintivi – bensì il politico che sta provando ad adattarsi ai tempi. Dove le urla valgono più del compromesso, e dove il dialogo è sopraffatto dalla pancia e dall’istinto.

Esasperare il tema dei migranti oggi, dettando l’agenda al governo nazionale, ha garantito al presidente un’ottima affermazione sul piano della popolarità, una polemica gratuita con Gad Lerner, che si fa sempre lèggere, e quasi certamente una risalita nei sondaggi. Sulla lunga, però, Musumeci non potrà improntare la propria comunicazione (solo) su una forma di populismo effimero, o sostituire la cruda realtà della Sicilia, una Regione in disarmo, con l’arte della propaganda. Dovrà superare anch’egli questa fase di “gestione provvisoria” dettata dal Covid, in cui lo stile spesso prevale sulle azioni. E rimettersi a fare politica con i partiti che lo sostengono a Palermo, stanchi di rimanere ai margini. Magari promuovendo azioni utili per i cittadini di questa terra, il cui unico scopo nella vita non è arginare l’arrivo dei barconi, ma poter mangiare.

La prossima conferenza stampa, dopo le mille dedicate alle mascherine, ai migranti e alla polemica con Roma, potrebbe organizzarla per spiegare ai siciliani il motivo per cui, a quattro mesi dall’approvazione della Finanziaria, non è stata attivata una sola misura anti-Covid: né un prestito a fondo perduto per i lavoratori in difficoltà; né l’emissione di un voucher per garantire la sopravvivenza delle agenzie di viaggio; né un bonifico per gli oltre 300 comuni ridotti sul lastrico. Per capire come siano maturati gli errori di Armao, il suo fidato braccio destro, e come si possa rimediare. Un’operazione trasparente e senza infingimenti, per dimostrare che il presidente della Regione è davvero dalla parte dei siciliani e non trami soltanto per diventare il miglior amico di Salvini.