Non c’è pace tra gli ulivi (bruciati) per chi è ai vertici dell’Isola e della sua Capitale. Un’estate maledetta. Prima l’emergenza incendi, adesso quella sociale, l’allarme sicurezza. Dai trillanti campanelli dei loro scranni al tonitruante scampanio delle loro rassicurazioni tramite gazzette c’è comunque di che esser tranquilli in mano al presidente della Regione e al sindaco di Palermo. Che sull’ultimo, orribile fattaccio (lo stupro in cooperativa della ragazza diciannovenne trascinata ubriaca dal cuore della movida panormita ai cantieri perenni del Foro Italico per farne scempio) intervengono con una risolutezza e una vanagloria manco fossero il presidente degli Stati Uniti e il primo cittadino di New York o di Tokyo. Ghe pensi mi, direbbero a Milano ma a Milano non siamo.

Fatti salvi i propositi di rito (la costituzione di parte civile nell’eventuale processo alle sette anime prave), Schifani parte, lancia in resta, con una sicumera legislativa che farebbe impallidire perfino il roseo incarnato del pur decisionista Nordio, il Guardasigilli: aumentare i tempi della carcerazione preventiva per i reati di allarme sociale. Contrordine, compagni! Chissà cosa ne pensano dalle sue parti – zona Forza Italia – dove fino a poche ore prima tenevano bordone al succitato Nordio sulla necessità di «limitare al massimo le possibilità che una persona venga incarcerata prima di essere processata e condannata, salvo casi di flagranza». Ora, com’è certo che, se già ritenuti socialmente perniciosi, quei sette in cella devono starci, è altrettanto certo che il warholiano quarto d’ora di fama individuale nel coro collettivo ma indistinto dell’indignazione val bene, per il presidentissimo, lo smarcarsi eclatante dal suo gruppone politico romano e val meglio il tirar fuori un garantismo alla bisogna, a doppio binario, a corrente alternata, che si accende e si spegne fiocamente come la lampadina a pila nelle esercitazioni di applicazioni tecniche della scuola media del giurassico.

Se Schifani brandisce il Codice che fu, che è e che vorrebbe che fosse, come l’esorcista fa col Vangelo sul corpo del posseduto, Lagalla invece lucida la stella di sceriffo rasentando l’ormai nota mitomania campanilista che i libri di patologia dovrebbero annoverare tra i disturbi di chi viene eletto sindaco di Palermo. Così come il suo predecessore Orlando, specie negli ultimi cinque anni di sindacatura quand’era capace di nominare assessori che giocavano con le strade della città come si fa con Vicolo Corto e Vicolo Stretto al Monopoli, e che dichiarava che Palermo era praticamente tra le città più sicure al mondo, Lagalla rafforza addirittura il concetto tirando in ballo un po’ di fuffa tipo «il disagio morale che attraversa la nostra società», consolandoci con la constatazione che «fatti ignobili e bestiali come questo si verificano in tutte le città metropolitane», e che nonostante non sia «possibile il presidio costante perché la città è vasta ed esiguo il numero delle persone addette alla sicurezza» e altrettanto utopistico pensare di «mettere un carabiniere dietro ogni cittadino» tanto che «la ragazza poteva essere adescata ovunque»: insomma, viviamo a Fantasyland e non ce ne accorgiamo, ingratoni che non siamo altro.

Comunque, anche stavolta – così come a luglio per i roghi, quando si riunirono tutti in prefettura a fuochi quasi spenti e polveri tossiche già sparse nell’aria come fossero borotalco in bagno – ci saranno incontri al vertice, summit, meeting e brain storming. Con calma. «A settembre». Magari la movida s’ammoscia, lo shottino s’annacqua e l’ormone cala. Hai visto mai ci vengano in soccorso la sorte e la mezza stagione?