Nessuno si schioda dalle proprie convinzioni e in Sicilia continua ad esserci una tregua armata tra Davide Faraone e i suoi detrattori. La battaglia dentro il Partito Democratico risale a ben prima di Natale, quando Faraone ottenne la proclamazione a segretario, in mancanza di primarie (la Piccione si ritirò qualche ora prima che venissero montati i gazebo) e di “avversari” in assemblea. Da lì partirono i ricorsi dell’ala zingarettiana del partito, della Piccione ma anche di Giuseppe Lupo (attuale capogruppo all’Assemblea regionale), che a Roma però non sono stati ancora discussi. In effetti le audizioni sono avvenute, ma la commissione di garanzia ha deciso di prendersi altro tempo e la decisione – di lasciare in sella Faraone, comunque – dovrebbe arrivare entro il 27 giugno. Fino a qualche giorno fa sul tavolo del neo governatore nazionale, Nicola Zingaretti, c’era anche l’ipotesi del commissariamento, che prevedeva di affidare il partito a Giuseppe Provenzano, che poi è finito alla direzione romana con la delega al Lavoro. Oggi, per allentare i toni coi renziani, Faraone potrebbe rimanere al proprio posto, anche se la scollatura col fronte dei dissidenti – Lupo, ma anche Cracolici – rimane lampante e si ripercuote all’Ars, dove il Pd è incapace di mantenere una linea unitaria sul tipo di opposizione da proporre al governo Musumeci.