Negli anfratti della Regione siciliana si annida un enorme mistero: di quali altri soldi ha bisogno Sicilia Digitale per sopravvivere? La società in house che si occupa della gestione dei servizi informatici e telematici per conto della Regione (a partire dalla compilazione delle buste paga dei dipendenti regionali), è sull’orlo del fallimento. Qualche giorno fa è stato proclamato lo sciopero generale. I conti sono pignorati. I dipendenti al verde. E i sindacati pronunciano parole di fuoco contro la politica: “L’autorità per l’innovazione tecnologia (Arit), come più volte ribadito dall’azienda, non ha messo a disposizioni i fondi necessari per permettere alla società di andare avanti. La situazione è insostenibile”. L’Arit dipende dall’assessorato all’Economia di Gaetano Armao. Nell’attesa che si individui una soluzione per scongiurare il peggio – ci stanno lavorando il capo dipartimento Vincenzo Falgares e il presidente della commissione Bilancio, Riccardo Savona – va evidenziato un aspetto: che negli ultimi mesi, tra luglio e dicembre, Sicilia Digitale si è aggiudicata oltre quindici milioni di euro dal bilancio regionale per far fronte alle sue “pendenze”.

La prima tranche, pari a 3,2 milioni, è stata garantita a “titolo di anticipazione” da una leggina approvata il 28 luglio all’Ars, con lo scopo di erogare al personale in servizio le retribuzioni arretrate relative al 2021 (comprese quelle che sarebbero maturate fino al 31 dicembre). Stipendi. Pochi giorni prima di Capodanno, in occasione delle variazioni di Bilancio, il parlamento ha autorizzato un nuovo prelievo da 12,3 milioni a copertura di due contenziosi milionari promossi dagli ex soci privati di Sicilia e-Servizi – vecchio nome della partecipata – cioè Engineering S.P.A. e Accenture Italia, che avevano portato al pignoramento dei conti. Questi soldi, però, sono ancora “congelati”.

L’azienda, per legge, deve prima dotarsi di un piano di risanamento che può essere attivato mediante un intervento sull’ultimo ‘contratto di servizio’ che – come rileva Antonio Nobile, segretario della Fim Cisl Trapani-Palermo – “non copre nemmeno i costi dell’attuale personale”. Insomma: per fare in modo che gli ex soci privati ritirino il procedimento esecutivo incassando la cifra dovuta, la Regione, entro il 28 febbraio (quando scade l’accordo con Engineering e Accenture) dovrebbe pompare nel bilancio di Sicilia Digitale nuove risorse “a meno che non si decida di dare un taglio netto al personale. Anche perché – spiega Nobile – l’azienda non vive di commesse. L’Arit non ha dimostrato la volontà politica di affidare lavorazioni che si potrebbero fare all’interno”.

Anzi, spesso ha preferito affidarsi a fornitori esterni. L’esempio più ricorrente, se non altro perché s’è rivelato fallimentare, è quello del click day per l’assegnazione del Bonus Sicilia, una delle misure previste dalla “Finanziaria di guerra”, che Tim fece naufragare nell’ottobre 2020. Ne seguì uno scambio d’accuse tra l’assessorato alle Attività produttive e quello all’Economia. Ma è così difficile tentare di salvare un asset “strategico e strumentale” della macchina regionale e, contemporaneamente, affidargli una funzione reale? I sindacati lo reclamano: “Chiediamo alla Regione, proprietaria della società, di intervenire a supporto della stessa affidando commesse importanti oltre che mettere in campo i giusti investimenti, anche in termini di formazione, che serviranno a supportare le sfide future”.

La formazione è l’altra area grigia di questa vicenda. Oggi Sicilia Digitale è un giocattolo malfunzionante a uso e consumo della politica, che negli anni ci ha piazzato dentro gli “amici degli amici”, senza una competenza tecnica adeguata alla mission (e senza concorso). Tutta l’attività legata alla predisposizione dell’hardware e alla manutenzione e gestione dei software, era stata subappaltata da Sicilia e-Servizi al socio privato, che ha drenato risorse e conservato il know how fino alla sua fuoriuscita. Poi la lunga e lenta discesa agli inferi, che non è ancora terminata. “I lavoratori ci dicono che tutta l’attività di assistenza tecnica e software è stata affidata all’esterno – approfondisce Nobile -. Molti ticket, però, hanno registrato troppi disservizi e si sono rivelati un flop. E alla fine si è dovuto ricorrere comunque ai dipendenti di Sicilia Digitale”. Che non sempre riescono a far fronte alle esigenze dell’Amministrazione: a causa di un personale ridotto e di assunzioni non sempre mirate. Ignazio Bertuglia, l’ultimo amministratore delegato, s’è appena dimesso. Qualcun altro, al suo posto, dovrà pensare a redigere un piano industriale che possa garantire la svolta.

Al momento, però, sul calendario resta segnata in rosso la data del 28 febbraio. L’ultima utile a sbloccare l’accordo con gli ex soci, ed entro la quale occorre stipulare un piano di risanamento. Sul “carrozzone” pende, infatti, la sciagura del fallimento, che per forza evitare. La società, infatti, non potrebbe essere ricostituita per i cinque anni successivi, né la Regione potrebbe acquisire o mantenere partecipazioni in società che gestiscano gli stessi servizi di quella dichiarata fallita. Sicilia Digitale – utile o meno – va tenuta in vita. Contrariamente si rischia la paralisi: oltre alle buste paga, infatti, la società gestisce il protocollo informatico, le centrali del 118 e altre attività. Per non parlare delle cento famiglie che finirebbero sul lastrico a causa di una gestione politica dissennata.

La Regione, infatti, oltre a scucire denari s’è anche rivelata morosa. “E’ giusto salvare la partecipata e il lavoro dei suoi dipendenti – ha confermato qualche tempo fa all’Ars Nuccio Di Paola, neo capogruppo del M5s – ma anche la Regione ha un debito nei confronti della partecipata”. Secondo l’ultimo rapporto del grillino Luigi Sunseri, ammonta a 92,5 milioni di euro. Di cui una parte già oggetto di decreti ingiuntivi notificati a palazzo d’Orleans. Basta risalire al 2019 per evidenziare una delle più grosse anomalie. Ossia il mancato pagamento di alcuni locali presi in affitto dalla Regione in via Thaon de Ravel, sede (casualmente) di Sicilia Digitale; oltre che delle bollette della luce. La segnalazione arrivò dagli ex vertici della società, il direttore generale Dario Colombo e l’amministratore unico Carmine Canonico: “Se Sicilia Digitale Spa non sarà messa nelle condizioni di provvedere al pagamento dei costi per i consumi di energia ascrivibili alla Regione siciliana, in forza di contratti regolarmente sottoscritti – scrissero ad Armao – non si riterrà responsabile di eventuali danni che potranno essere arrecati per l’impossibilità di mantenere sotto tensione i sistemi attualmente gestiti”. Cioè i server della Regione contenenti dati sensibili.

Ma legata all’universo di Sicilia Digitale è anche la figura di Antonio Ingroia, che venne nominato amministratore unico dell’azienda quando ancora si chiamava Sicilia e-Servizi. L’ex magistrato, oggi avvocato, fu una delle pedine utilizzate dall’ex governatore Rosario Crocetta per moralizzare l’attività del suo governo. Ma come tante altre – da Lucia Borsellino al magistrato Niccolò Marino – non ebbe grande fortuna. Durò poco e a distanza di tempo, nel 2020, subì una condanna a un anno e dieci mesi per peculato, con l’accusa di essersi fatto rimborsare spese non dovute pari 10 mila euro. Ma questo attiene il campo del ‘mito’. Mentre Sicilia Digitale, ieri e oggi, costituisce una questione realmente grottesca che nessuno riesce a risolvere. L’unico rimedio di Armao, tuttora sulla carta, è la fusione con la Società degli Interporti Siciliani e col Parco Scientifico e Tecnologico. “Inutili carrozzoni” secondo Sunseri, che spinge per “una soluzione concreta e definitiva”. Due aggettivi che la Regione del provvisorio non conosce.