Le trattative di questi giorni sembrano aver portato a qualcosa. Il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico hanno “partorito” un accordo a Termini Imerese: i due partiti, assieme a un paio di liste civiche, sosterranno la consigliera comunale uscente, Maria Terranova. Sulla scorta di questa esperienza, il cammino sembra segnato. Lo ha confermato anche Giancarlo Cancelleri, viceministro delle Infrastrutture, in una intervista a Repubblica: “Il Movimento sta cambiando, l’apertura ad accordi con i partiti avvia nuovi scenari: e sono certo che il percorso che iniziamo a Termini Imerese e Barcellona Pozzo di Gotto con il Pd e altre liste civiche possa arrivare a una alleanza per le regionali”. “Attenzione, deve essere sempre la base a decidere – chiarisce il punto di riferimento del M5s in Sicilia -. A Vittoria e Marsala ad esempio i 5 Stelle non andranno con il Pd e la sinistra. Il voto su Rousseau apre comunque a una grande opportunità per il Movimento: a tutti ricordo che alle regionali del 2017 in Sicilia abbiamo perso per una manciata di voti e io non voglio perdere”.

IL RESTO DELLE TRATTATIVE

L’Ars e il governo (in parte) sono andati in ferie, ma prima della pausa non hanno risolto alcune questioni, che a furia di trascinarsi rischiano di diventare grane. Ci vorrà del tempo. E non è detto che basti quello che ci separa dal 4-5 ottobre, il weekend in cui si vota per le elezioni Amministrative in 62 comuni siciliani. Da Marsala a Vittoria, passando per Enna e Agrigento, non è ancora chiaro lo schema con cui i partiti affronteranno la competizione elettorale.

Nulla di strano: a livello locale la politica è cangiante. Non prevalgono gli schemi fissi, ma gli interessi campanilistici. Le sigle restano sullo sfondo. Eppure anche questo “giro” ha prodotto delle tossine che in tanti faticano a smaltire. Alla Lega, ad esempio, non è andata giù l’intolleranza degli altri partiti del centrodestra nei confronti del simbolo del Carroccio. Così, a Milazzo, ha deciso di andare in autonomia e schierarsi contro il resto della coalizione: il candidato di Salvini sarà Damiano Maisano. Questo episodio, in piccolo, rischia di rappresentare il detonatore di un’alleanza che si fa fatica a cementare un po’ ovunque. A Termini, ad esempio, il forzista Caratozzolo non sarà sostenuto da Fratelli d’Italia, che ha puntato su Anna Amoroso. Ma anche ad Agrigento, per dire, la Lega non converge su Marco Zambuto, che avrà a supporto i partiti del centrodestra e una lista firmata, addirittura, da Giusi Savarino, la presidente della IV Commissione all’Ars vicinissima a Musumeci. Si prospettano altre soluzioni.

Questa distanza fra il Carroccio e il movimento del governatore, però, è il principale motivo di tensione, anche se difficilmente potrà incidere su dinamiche più regionali. Anzi, sembra proprio che la particolare “antipatia” di Candiani per Musumeci, e questa fatica nell’instaurare un percorso di collaborazione – a Palermo si era stabilito di andare insieme, ma sul territorio sono cambiate le carte in tavola – non costituirà un freno ai propositi di federazione fra i due partiti. Ne hanno bisogno entrambi. Diventerà Bellissima rappresenta per il Carroccio un’Opa in chiave Politiche: Salvini, cioè, potrà contare sul bacino elettorale di Musumeci (“Valiamo più del 10%”, ha detto Aricò, capogruppo all’Ars) e potrà ricompensarlo facendo scattare un paio di seggi a Roma. Ma è vero anche il contrario: la Lega è troppo importante per garantire a Musumeci un secondo mandato a palazzo d’Orleans.

Il Carroccio diventerà l’equilibratore e il garante di una coalizione che ha preso a barcollare a due anni dalla scadenza. Da un lato Micciché (emblematica l’ultima polemica) dall’altro Fratelli d’Italia, paiono un po’ restii a concedere al governatore una seconda chance. Specie se in questo arco di tempo non giungessero a maturazione alcuni punti programmatici e politici già sottoscritti. Lo stesso ragionamento arriva dai centristi: Saverio Romano e il Cantiere Popolare vogliono valutare il lavoro della giunta, essere coinvolti e poi decidere. Gli autonomisti di Lombardo, invece, hanno un feeling speciale con la Lega, tanto da ingaggiare accordi per le Amministrative su ampia scala. Se vale la proprietà transitiva, Musumeci ha una doppia assicurazione. La questione tuttavia non può dirsi chiusa e l’estate lascia con sé qualche strascico: l’alleanza fra Salvini e Diventerà Bellissima cova sotto la cenere da più di un anno, ma il movimento del governatore – che dovrà coinvolgere ufficialmente la base – non sprizza entusiasmo.

Le altre manovre dell’estate sono quelle che riguardano il centro. In effetti, l’idea rilanciata un paio d’anni fa a Cefalù, in cui Romano, Micciché e persino Musumeci si impegnavano alla costruzione di una casa comune, sono svanite nel flusso elettorale e politico. La rivalità interna a Forza Italia al tempo delle Europee, con la frattura fra l’ex Ministro dell’Agricoltura e il coordinatore azzurro (che pure avevano messo insieme il 17%), ha azzerato le chance di una reunion. Non se n’è più parlato fino ai discorsi, qualche settimana fa, di Davide Faraone, in rappresentanza di Italia Viva. Ossia il partito di Renzi che pensa a un laboratorio politico – l’ennesimo – per la città di Palermo. Dove Orlando, però, è tenuto in vita proprio dai renziani. Da qui la diffidenza di Romano per “le alchimie politiche” e di Micciché “per gli annunci”. E la sensazione che questo percorso, al momento, è davvero poco praticabile (il vecchio schema del centrodestra, deturpato dalle incomprensioni e dai veti, resta comunque il più collaudato). Il senso potrebbe cambiare se, da quai a pochi mesi, si varasse una riforma della legge elettorale in chiave proporzionale: a quel punto allargare la prospettiva diverrebbe l’unico modo per sopravvivere. E strappare qualche seggio fra Camera e Senato, che nel frattempo verranno “azzoppati” dal referendum del 20 settembre sulla riduzione dei parlamentari.

Le Amministrative del prossimo ottobre, invece, saranno molto più significative per verificare l’affinità strutturale fra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico. L’unica cosa su cui marciano compatti, almeno in Sicilia, è la difesa strenua dell’operato del governo nazionale. Poi è ovvio che all’Ars votino spesso insieme, stando all’opposizione. Ma sul territorio costruire un’alleanza sta risultando più difficile del previsto. A parte i casi “modello” di Termini e Barcellona, M5s e Pd restano distanti in molte realtà. Prendete Agrigento, dove il Partito Democratico ha deciso di continuare a sostenere l’esperienza dell’uscente Lillo Firetto, mentre i grillini hanno candidato a sindaco Marcella Carlisi. O Enna: dove il M5s scende in campo con la consigliera uscente, Cinzia Amato, contro il candidato del Pd, Dario Cardaci. Il requisito che manca è la fiducia e l’unico modo, almeno in questa fase, è trovare dei profili equidistanti dai due partiti, sul modello Conte. Una istruttoria da cui Italia Viva ha scelto (quasi) definitivamente di sganciarsi.