Alcuni dipartimenti della Regione siciliana, su tutti quello alla Pianificazione strategica dell’assessorato alla Salute, tornano al “lavoro agile”. La diffusione del contagio terrorizza e in alcune strutture, ormai da mesi, non vengono garantite le buone pratiche come il distanziamento sociale e le scorte di gel igienizzante per le mani. Ossia l’Abc della prevenzione. Da qui l’esigenza, da parte dei singoli capi dipartimento, di adattarsi a una situazione in fieri. Musumeci, che nel corso dell’estate aveva scavalcato le volontà dell’assessore alla Funzione pubblica, Bernadette Grasso, per imporre il ritorno dei “grattapancisti” in ufficio, al momento ha deciso di defilarsi. Anche se i sindacati premono: “Da quando è iniziata la pandemia – spiega Alfio Mannino, segretario regionale della Cgil – abbiamo chiesto alla Regione di sederci attorno a un tavolo e contrattare lo smart working. Il nostro appello è caduto nel vuoto”.

A cosa serve contrattare lo smart working?

“Da un lato per garantire maggiori condizioni di sicurezza ai lavoratori; dall’altro per affrontare insieme tutte le difficoltà che l’attivazione di questo strumento, il “lavoro agile”, comporta. Noi per primi vogliamo che i servizi funzionino”.

Invece, senza contrattazione, i dipartimenti regionali si muovono a proprio piacimento. E’ un bene o un male?

“Un male, ovviamente. Non ci sono direttive precise, né modelli di verifica o di controllo. E’ tutto affidato alla buona volontà dei funzionari. Esiste solo una direttiva del Ministero della Pubblica amministrazione che dà la possibilità ai singoli enti, per garantire la sicurezza di lavoratori e lavoratrici, di utilizzare lo smart working nella misura ritenuta più adeguata”.

Non c’è il rischio, come paventano le istituzioni pubbliche, che lasciare a casa i lavoratori sia un assist al fancazzismo?

“Per questo bisogna trovare degli strumenti di verifica dell’attività svolta. Ma non deve esserci alcun tipo di pregiudizio: il “lavoro agile” era e resta una grande opportunità, specialmente in questa fase, in cui è necessario elevare i livelli di sicurezza. Però va contrattato. Per alcuni servizi si può immaginare di mettere in smart working il 100% del personale, per altri bisogna fare scelte più ponderate. Sediamoci e parliamone”.

Durante il lockdown lo smart working ha funzionato?

“I risultati sono abbastanza soddisfacenti, soprattutto nel settore privato. Tante aziende, anche nel momento della ripresa produttiva, hanno lasciato i propri lavoratori in smart working”.

La produttività potrebbe essere garantita anche a livello di enti pubblici?

“Laddove ci sono le giuste verifiche la produttività è garantita. Dove tutto è lasciato al libero arbitrio, invece, sorgono dei problemi”.

La Regione ha predisposto le misure minime di sicurezza per accogliere il personale in ufficio?

“Fino a oggi non è stato adottato alcun piano o protocollo di sicurezza. Come le dicevo prima, tutto è affidato alla buona volontà dei funzionari. Per questo, ove possibile, lo smart working va applicato”.

Le sigle sindacali hanno parlato di svariati casi “positivi” all’interno degli uffici regionali. Più di quelli rappresentati sui media.

“Ci sono molti casi di cui siamo a conoscenza. Anche al comune di Palermo o all’assessorato regionale alle Attività produttive, per citare un paio di esempi”.

Ha visto l’attacco di De Luca ai sindacati? Il sindaco di Messina li ha definiti “istigatori a delinquere”.

“Lo scontro col sindaco deriva da questioni lontane. De Luca, però, dovrebbe dire a quali sindacati fa riferimento. E’ bene ricordare che lui stesso, a Messina, ha creato un sindacato “giallo” che risponde ai suoi desiderata (il riferimento è alla Fiadel, una sigla autonoma ndr). Parlare a vanvera dei sindacati e costituirne uno ad hoc per poter rappresentare i lavoratori delle partecipate o i dipendenti comunali mi sembra una contraddizione evidente”.

Che idea s’è fatto del click-day?

“Che tornare sul luogo del delitto è inconcepibile. Dimostra che l’infrastrutturazione informatica della Regione, nonostante i grandi investimenti degli ultimi due anni, è un fallimento. Appena proponi un meccanismo come quello del click-day, fra l’altro già sperimentato, il sistema collassa. Ma a monte c’è un problema più evidente…”.

Quale?

“Quello dei contributi a pioggia. Ci aspettavamo che i soldi a disposizione delle imprese fossero calibrati in maniera più specifica”.

Ci faccia un esempio.

“E’ chiaro che il lockdown abbia danneggiato più un parrucchiere, costretto a chiudere, rispetto a un panificio. I soldi andavano ripartiti con criteri oggettivi: ad esempio, tenendo conto di coloro che si sono ritrovati senza un euro di liquidità, ma hanno continuato a pagare l’affitto; oppure sulla base delle categorie merceologiche. In questo modo si sarebbe rispettato il principio dell’equità. Invece 3 imprenditori su 4 rimarranno fuori dalla platea dei beneficiari, dato che ci sono richieste per 675 milioni di euro, a fronte di 125 disponibili”.

Una beffa.

“Noi rischiamo di dare i soldi a chi non ha avuto danni, ed escludere chi ne ha avuti (e anche di significativi). Chi è più rapido a pigiare il bottone avrà il finanziamento, gli altri no”.

Tuttavia la misura dei prestiti a fondo perduto per le microimprese resta l’unica misura attiva dell’ultima Legge Finanziaria.

“Rispetto alle scorse settimane, però, la Regione ha terminato gli alibi. Sono stati sbloccati i 400 milioni del Fondo sociale europeo, validi come prima tranche della Finanziaria; e lo Stato ci ha decurtato 800 milioni dal contributo alla Finanza pubblica. In tutto questo, però, c’è la beffa di alcune misure che non hanno più ragion d’essere: penso ai 30 milioni destinati alla ripartenza dell’anno scolastico. Siamo a novembre e non è stato pubblicato un solo bando… O la misura immaginata per andare incontro alle categorie escluse dagli ammortizzatori sociali. Provvedimenti già superati dai fatti”.

Lei, qualche settimana fa, aveva implorato la Regione di fare una ricognizione sui fondi strutturali residui che l’Unione europea aveva disposto di poter riprogrammare per l’emergenza. Notizie?

“L’Unione Europea, a maggio, aveva concesso di utilizzarli su tre assi: la sanità, il sostegno al reddito e il rilancio dell’economia. Attraverso criteri flessibili e procedure semplificate. Da mesi chiediamo alla Regione di avere certezza di quanti siano questi residui, ma finora nessuno ha verificato. Anzi, col ritorno dell’emergenza sanitaria e la ripresa dei contagi, ci troviamo nella stessa situazione di aprile. I reparti Covid di Palermo e Catania sono saturi: sei mesi fa era giustificabile, oggi non più”.