Si assume che con i “se” e con i “ma” non si è mai cambiato il corso della Storia. L’ipotesi è l’antitesi dei fatti e questi ultimi sono terribilmente testardi e non ammettono contrapposizioni avversative o limitative.

È la grammatica del pensiero.

Non può contraddirsi a questa semplice Verità.

Quindi, è inutile dire che “se” qualcuno avesse letto le parole di Anna Politkovskaja – trasposte nel libro “La Russia di Putin” – sarebbe mutato il corso degli eventi che oggi tragicamente ci riguardano. Forse è vero il contrario e, quindi, l’uomo di Arcore avrebbe comunque condiviso con lui il lettone del baldacchino e – allo stesso modo – il sovranista barbuto di Pontida avrebbe indossato la maglietta con la sua imperiale effige scolpita sul petto.

Però (abbiate pietà dell’avversativa…) l’Italia intera avrebbe saputo – tempestivamente – di quale materia malvagia e criminale era composta l’anima del dittatore russo. Nessuno avrebbe potuto affermare che il suo sguardo fosse lo specchio di un sentire profondamente democratico.

Nel libro della coraggiosa giornalista vi era già scritto tutto ciò che in questi giorni stiamo vedendo: un’apoteosi di violenza sanguinaria fattasi potere statuale ed in possesso di micidiali strumenti bellici. Una realtà “terribile” (pagina 145).

Anna Politkovskaja ha pagato con il suo assassinio questo tributo alla Verità, ma che almeno il suo sangue (come quello di tanti altri eroi civili del nostro tempo) non sia stato versato invano.

Che questo testo sia la guida intellettiva per interpretare gli odierni accadimenti.

Della sua “terribile” ricostruzione della Russia di Putin una pagina – più delle altre – mi ha indotto a riflessione.
Ne trascrivo qui di seguito il contenuto perché il nostro Parlamento è, in questi giorni, impegnato nella riforma della Giustizia.

“I giudici che non gli aggradano vengono man mano accantonati, perseguitati, costretti a lasciare il posto di lavoro a favore di personale che spesso non ha né le qualifiche né l’esperienza necessarie alla nomina, ma che per qualche motivo è vulnerabile e, dunque, manovrabile. Al momento un numero enorme di giudici altamente qualificati, con anni di lavoro e di esperienza alle spalle ed in possesso di doti importantissime, quali principi morali saldi, autonomia, fermezza, incorruttibilità e coraggio sono costretti a lasciare il lavoro…” (pagina 228).

Chissà perché un sistema dittatoriale ha sempre bisogno di una magistratura asservita.

Già… chissà perché…