Si è arrabbiato con l’assessore Scarpinato per aver concesso una foto (e un’apertura) a Cateno De Luca, reduce dalla polemica sulla gestione del Teatro Antico di Taormina; se l’è presa col vescovo di Cefalù, monsignor Giuseppe Marciante, per aver denunciato l’inerzia dei governi regionali sulla prevenzione degli incendi; in questi giorni, invece, ha sbraitato contro i dirigenti presenti a un incontro sui fondi UE per il look poco istituzionale (e con quelli assenti per aver snobbato l’appuntamento). Insomma, Renato Schifani non concede tregua. E’ un governatore operativo, premuroso, rigido quando serve.

Pensate che alla ditta di Favara che si sta occupando della riqualificazione del Castello Utveggio, prima che diventi un grande salone delle feste, non ne ha fatta passare una, denunciando alla Procura i ritardi nell’esecuzione dei lavori. “Purtroppo è un chiaro esempio, certamente non virtuoso, di una Sicilia che fa di tutto per mortificare le proprie potenzialità di crescita. Palermo e la Sicilia non meritano queste offese e non possono più consentirsi queste gravissime inefficienze”. Il risultato? Una penale da 37 mila per ogni giorno di ritardo. I lavori non sono ancora terminati, ma tale è la smania di piazzare una bandierina – come il primo uomo sulla luna – che il castello è stato inserito nell’elenco degli immobili sotto l’egida della presidenza della Regione. Schifani, quando sarà pronto, ne potrà fare ciò che vuole (e alla Regione non mancano i cerimonieri in grado di valorizzarlo).

Questa tendenza al pugno duro e alla prova muscolare investe, soprattutto, la burocrazia. Proprio il Castello Utveggio, infatti, offre una prova dell’imprinting autoritario di Schifani (laddove si intravede un tornaconto politico). “Ero già stato a metà dicembre per un sopralluogo in cantiere contestando già allora il mancato rispetto dei tempi e, anche in quell’occasione, mi era stato assicurato che la consegna sarebbe avvenuta entro marzo. Mi ero fidato ma con una certa riserva. Oggi riscontro con amarezza che la mia fiducia è stata mal riposta”, disse il 25 marzo di quest’anno. Poi l’affondo: “Il direttore generale Maurizio Costa (all’Energia, ndr) ha dichiarato di essere totalmente all’oscuro dell’andamento dei lavori e dei termini contrattuali. Attiverò immediatamente tutte le procedure finalizzate a individuare le responsabilità”. Costa è scomparso dai radar. Schifani ha vinto.

La stessa veemenza ha adottato nei confronti del tandem Fazio-Scarpinato, responsabile – secondo Schifani – di aver provocato un “danno d’immagine” irreparabile alla Sicilia coi fatti di Cannes. Con quell’affidamento diretto da 4 milioni poi ritirato in autotutela (e costatogli la prima frattura con Fratelli d’Italia). Furono settimane di intenso tormento: il presidente chiese a gran voce una relazione che scagionasse il dirigente e l’assessore al ramo dalle contestazioni mosse. Non lo ottenne, così decise di fare da solo. Tempo dopo Scarpinato sarebbe diventato un bravo uaglione, complice il trasferimento ai Beni culturali, mentre la girandola dei dirigenti del Dipartimento Turismo è proseguita fino all’altro ieri: anche Antonio Cono Catrini, responsabile di aver chiuso il rapporto con gli albergatori dopo il fallimento di SeeSicily, è stato spodestato per fare spazio a Maria Concetta Antinoro. Ma senza una pubblica umiliazione (almeno quello). Nella circostanza, però, non risulta neppure una segnalazione alla Procura per denunciare le spese folli dei suoi predecessori (oltre 24 milioni su 70 in ‘comunicazione’: vi pare normale?)

Ma il presidente che non perdona nulla era già stato l’artefice di altre incazzature: nei confronti di Gaetano Sciacca, ex dirigente (sempre all’Energia), messo all’indice per aver imposto una riflessione sulla realizzazione degli impianti di energia rinnovabile; o di Aurelio Angelini, ex presidente della commissione Via-Vas (quella che rilascia le valutazioni d’impatto ambientale), rimosso dall’incarico (formalmente s’è dimesso) allo scopo di “migliorare progressivamente il rapporto tra istanze procedibili e provvedimenti emanati e tempi di svolgimento delle procedure medesime”. Al suo posto è finito Gaetano Armao, che non ha neppure dovuto scusarsi per aver voltato le spalle a Schifani e Forza Italia alla vigilia delle ultime elezioni.

“Dobbiamo essere orgogliosi della bellezza della Sicilia e lavorare tutti insieme per renderla ancora più bella – insisteva Schifani all’inizio del suo mandato -. Questo è quello che sto tentando di fare, a costo di essere anche un po’ martellante nei confronti del governo nazionale e della burocrazia regionale. C’è un grande lavoro da fare, rompendo certi schemi che tendono all’immobilismo e che stanno dando dei mal di pancia a qualcuno. I tempi della burocrazia, infatti, sono a volte elefantiaci. È un sistema che dobbiamo cambiare e migliorare, e io ci sto provando”. L’ultima, durissima reprimenda ha investito ad arte una cinquina di dirigenti che non si sono presentati a una riunione sui fondi europei. Nomi e cognomi sono stati spiattellati sui giornali grazie a un comunicato inoltrato alle redazioni dallo staff del presidente. E così sono finiti all’indice Giuseppe Battaglia, dirigente del Corpo forestale, Salvatore Taormina delle Autonomie locali, Mario La Rocca dei Beni culturali, Salvatore Requirez del Dasoe, e persino Salvatore Iacolino, dirigente della Pianificazione strategica dell’assessorato alla Salute.

Fosse immobile solo la burocrazia, avremmo qualche chance di salvezza. Il problema è che è immobile pure la politica, grazie a un governo che non propone leggi e un parlamento ridotto a stoccafisso. Servirebbe un miracolo. Ma non sarà certo il Vescovo di Cefalù a garantirlo. Ha aperto bozza mezza volta, per denunciare una delle carenze croniche della Sicilia (l’assenza di un piano di prevenzione degli incendi), ed è stato sbranato: “Stupiscono le parole del vescovo di Cefalù, che rischiano solo di alimentare proteste e fomentare la sommossa popolare. Comprendo e condivido la rabbia e l’indignazione per questo ennesimo scempio ai danni del nostro territorio e delle nostre comunità, ma riteniamo ingiustificabili gli attacchi a questo governo regionale che fin dal suo insediamento ha lavorato e continua a lavorare per risolvere in maniera strutturale i problemi della Sicilia, tra i quali gli incendi, operando strategicamente per la tutela del territorio e la prevenzione”. Anche in questo caso, un’opinione non suffragata dai fatti. Ma tant’è.

Quando Schifani si agita rischia di far danni. L’accanimento nei confronti di Ita e Ryanair – curiosamente ostentato solo nei confronti della compagnia irlandese – per un presunto ‘cartello’ sui prezzi dei voli, ha comportato una guerra senza precedenti. Dopo che la low-cost è arrivata sul punto di tagliare del 10 per cento le tratte siciliane, l’ad Eddie Wilson è stato invitato a Palazzo d’Orleans per rasserenare gli animi. Notevole anche la cazziata nei confronti di Natale Chieppa e Vito Riggio, usando a pretesto il mancato sostegno di Gesap, che gestisce l’aeroporto di Palermo, a Fontanarossa in fiamme: “Non posso che stigmatizzare l’atteggiamento della direzione generale dell’aeroporto di Palermo che, senza un doveroso confronto con gli organi di controllo, ha dichiarato di non accettare più voli destinati originariamente allo scalo di Catania, ingenerando così uno stato di allarmismo e tensione sociale”.

Mentre nell’agone politico non sono mancati i contrasti, anche durissimi: per buona parte della legislatura il bersaglio preferito – perfettamente ricambiato – è stato Gianfranco Micciché; poi è toccato ad alcuni assessori (in primis l’assessore all’Economia Marco Falcone, giudicato troppo ‘aperturista’ nei confronti delle opposizioni); ma anche il ministro Urso, oltre ai colleghi Pichetto Fratin e Fitto (per la storia dei depuratori) hanno toccato con mano l’ira del presidente. Che chiedeva soltanto “competenza”. Il paladino del merito è disposto a tutto per ottenerlo. Anche andare in guerra con la fionda. O circondarsi di ‘scienziati’.