L’unica cosa evidente è che l’ologramma è lei, non lui. Lei, assenza silenziosa e diafana, ma così ingombrante da aver spazientito anche il paziente Paolo Berlusconi e il furbo Maurizio Gasparri (un lutto è un lutto è un lutto, ma un voto è un voto è un voto). E’ lei il vero ologramma che aleggia su Paestum, stravagante location scelta dall’eterno Martusciello. Invece lui, “l’ologramma del Dottore”, è una follia fantasmatica che il silenzioso no della famiglia ha soffiato via. A Paestum restano il merchandising e il partito, nell’ordine che si voglia, ma quanto sarebbe utile per tutti – per loro, per Tajani, persino per Meloni – che ci fosse davvero lui. In questo spericolato tentativo degli orfani della tavola rotonda di materializzarlo in vita. Di aggrapparsi come sempre alla sua presenza. Difficile da fare, l’ologramma invece è lei. Evanescente e inutile, il vero enigma della vita post mortem del Cavaliere è lei, la deputata contumace Marta Fascina.

L’unica che davvero renda presente l’assente. E sarà per questo che, per tutti, è un malcelato ingombro. Lei che non esce, non parla, ma compone una lettera d’auguri per il non-compleanno del suo amato Silvio che sembra scritta da Jovanotti, o da Mogol-Battisti. “Auguri a te che sei entrato nei libri di storia. A te che sei baluardo di democrazia e di libertà. A te che sei un esempio di concretezza, pragmatismo, dinamismo, visione per le future generazioni. / A te che hai cambiato il modo di vedere ed interpretare il mondo… Auguri a te che ogni giorno scaldi ed illumini il mio cuore”.

Per anagrafe, forse l’ologramma Marta aveva in mente Jova, “a te che sei il mio grande amore / e il mio amore grande”. Ma vivendo nell’età virtuale che aveva lui, forse è Mogol-Battisti: “A te che sei il mio presente / a te la mia mente”. Hanno ridacchiato tutti, di tanta poesia. Ma asciugata con la sabbia della politica, resta il fatto che è l’ologramma dolente a consentire a Silvio Berlusconi di apparire ancora per un po’ come vivo e presente. Da una parte c’è Milano, le celebrazioni sobrie e istituzionali. I figli a Paestum non sono andati, là c’è l’altro pezzo ingombrante dell’eredità, cioè Forza Italia, prima o poi da sistemare nel baule dei ricordi (ma non subito, un voto è un voto è un voto). E dall’altra parte, a Paestum, c’è quel che resta della Grande Armée che l’ologramma di lui non ha saputo evocare. Continua su ilfoglio.it