Il calcio non mi interessa più. Da anni. Tanti. Seguo con pacato distacco le vicende del campionato. Giusto per sapere chi lo ha vinto.

Questo è tutto ciò che rimane di un antico amore. Però, quando vedo una donna giocare a calcio, provo una sensazione di autentico malessere. Avete presente il raschio delle unghie su una lavagna? Uguale. Naturalmente mi sono interrogato sulle ragioni di questa mia, irrazionale, ingovernabile, ed autentica reazione.

E così mi sono ricordato di averla provata qualche anno fa quando ho visto una donna che sputava per terra. Un gesto schifoso ed incivile, piuttosto frequente tra gli uomini, che però non esito a definire immondo se fatto da una donna. Non so per quale motivo, ma ci vedo un “disvalore aggiunto”.

Ecco, mentre scrivo, mi viene in mente un altro fenomeno. Una rissa, per dire. Tra uomini è una rissa e basta. Quella tra donne ha per me qualcosa di innaturale. Ancora, il turpiloquio, il più sboccato e volgare che ormai coinvolge anche le donne. Per me equivale ad una pugnalata.

Ho riflettuto sulle ragioni di queste mie distoniche valutazioni.

Può darsi che sia un fottuto maschilista. Forse è questo che mi porta a pensare che esistano “territori” che, socialmente, possono appartenere solo all’uomo perché lasciano emergere il peggio che una persona può dare di sé. E il calcio è uno di questi territori, perché non è solo il gol, il gesto atletico, gli schemi, le diagonali o le geometrie di gioco. Il calcio è anche lo sputo in campo, la testata di un giocatore all’altro, l’entrata a gamba tesa, la rissa, il linguaggio da vernacolo. E poi ancora lo spogliatoio, i rutti, la goliardia e la competizione a chi ce l’ha più lungo. Cosa c’entrano le donne con tutto questo? Le donne sono “altro”. Sono “ben” altro. Sono migliori di noi. Qui non è in discussione il concetto di uguaglianza (lo so, scivolo nel banale, e non mi sogno neppure lontanamente di invocare una inadeguatezza biologica o genetica. Il fatto è che per quanto mi riguarda, il calcio femminile rappresenta l’ennesimo passo della donna per “affrancarsi” dalla “femminilità.”. Non so bene cosa sia, la femminilità. Non saprei neppure come definirla. E’ qualcosa di misterioso e affascinante, è eros, arte, seduzione. Insomma, è un magico enigma.

Sarò miope, ma mi è difficile, impossibile, trovare tutto questo nelle sgomitate, nella mascolina gestualità dell’esultanza, nelle scarpe del calcio, quelle coi tacchetti. A proposito, le scarpe coi i tacchi, le adoro. Le considero un manifesto della femminilità. Le donne, invece, le hanno abbandonate per gli scarponi. E hanno abbandonato le gonne per i pantaloni. Ormai vestono come gli uomini. Dicono di farlo in nome del salutismo, della comodità, della praticità. Può darsi che abbiano ragione.

A volte, però, mi viene persino il sospetto che vogliano somigliarci.

Mi ricordo quello che disse un’amica, a commento della comandante della Sea Watch che aveva forzato il blocco “è una donna che ha due coglioni grandi quanto una casa”. Le donne. Valle a capire.