Fosse per me, passerei le giornate in aeroporto. Passerei le giornate in aeroporto a guardare l’andirivieni al terminal degli arrivi, come i proverbiali vecchietti che stanno ore ad osservare i cantieri. Perché per una come me, che quando torna da un viaggio al massimo esce dalle porte scorrevoli e cerca un taxi o le chiavi della macchina, questa scena di chi arriva e chi aspetta diventa uno spettacolo, uno di quei film che ti tengono incollati e che rivedresti una, dieci, cento, mille volte senza stancarti.

Ieri c’era questa coppia con un bimbetto di circa sei anni e i nonni ad aspettarlo. “Achille è rimasto a Parigi”, diceva la mamma mentre Achille si nascondeva dietro le sue gambe. Finché la nonna non ha “scoperto” Achille che le è saltato al collo e l’ha riempita di baci. E io ho immaginato che Achille e i suoi genitori, sicilianissimi, vivano da qualche parte e che avessero fatto un salto a Disneyland prima di passare le ferie con i nonni, in qualche paesino sulle Madonie.

C’erano due amiche, sulla cinquantina, si sono ritrovate nella grande sala, ognuna con il suo trolley. Le ho viste, mentre programmavano questa vacanza per la quale hanno deciso di darsi appuntamento in Sicilia, e poi prendere un aliscafo per le Egadi.

C’era un uomo anziano e una donna molto giovane, molto bella, molto straniera. Lui le chiedeva “Quieres comer? Quieres beber?”. Li ho guardati mentre si allontanavano verso l’uscita, con un pizzico di malinconia per questa donna che magari era venuta per cercare una nuova vita e per quest’uomo che cercava un nuovo amore.

Guardavo i turisti con i loro zaini, i bambini che spingevano trolley più alti di loro, i fratelli, le fidanzate, gli autisti in attesa. Perché dovrebbe esserci sempre qualcuno ad aspettarci da qualche parte.