Il ponte Corleone. Io ci sono cresciuto accanto a quel ponte che vi sta facendo dannare bloccandovi dentro le vostre macchine, lo conosco meglio di tutti voi che l’avete per anni ignorato o al massimo visto distrattamente come tramite per le vostre passeggiate fuori porta.

Il ponte Corleone per noi ragazzini cresciuti negli ultimi palazzoni di via Roccella, dopo c’era solo la campagna, era una sorta di miraggio, l’avamposto di un mondo nuovo che ci era precluso perché per accedervi bisognava attraversare lo stradone della circonvallazione e guai a farlo senza che i genitori ti tenessero per mano. Lo vedevo da vicino quando si andava a mangiare la pizza al Baby Luna, che aveva la sala proprio a strapiombo su quel che restava, già allora, del fiume Oreto.

Dal balcone di casa mia lo vedevo distintamente, mi pareva quasi di toccarlo assieme alle montagne e a un quartiere che mi pareva esotico perché aveva le strade coi nomi degli animali, Bonagia, salvo scoprire anni dopo che il mio, modestamente, a parte via dell’Ermellino e via della Marmotta, non aveva nulla da invidiare.

Fra i mille ricordi che mi legano al ponte Corleone c’è quello di un uomo che un pomeriggio si gettò di sotto e noi tutti trasgredimmo gli ordini e andammo di nascosto in delegazione a vedere che era successo. Partimmo in fila indiana verso il ponte, come i ragazzini di Stand by me, eccitati e spaventati. Disobbedire ai genitori ed entrare in quel mondo che ci era precluso per andare a vedere un cadavere.

Trovammo la polizia e i vigili del fuoco, dissero che quell’uomo s’era ammazzato per amore. Era il tempo dell’innocenza, tornai a casa chiedendomi cosa potesse spingere un uomo ad uccidersi per amore. L’amore. Io ogni volta che passo da quel ponte che vi sta facendo diventare pazzi penso sempre a quella storia lì, alla storia di quell’uomo che un giorno decise di morire per amore.