Il governo è scarso, la Regione inoperosa, l’Ars addirittura chiusa. Non si può certo dire che l’attuale stallo politico invogli i cittadini catanesi (e quelli di altri 127 comuni siciliani) a recarsi alle urne. Non fosse per la resilienza di alcune dinamiche locali, guidate da interessi particolari, ci ritroveremmo i seggi vacanti. In attesa di capire il dato dell’affluenza, c’è il dato della politica. Anche un certo establishment risulta sempre più insofferente di fronte all’assenza di proposte e di pragmatismo. Racchiude bene l’idea l’editoriale del catanese Antonio Condorelli, direttore del quotidiano Live Sicilia, che domenica mattina ha titolato “Sicilia, l’Ars ferma e Schifani convitato di pietra”.

Solo una settimana fa l’intervista dei buoni propositi al presidente della Regione. Oggi una naturale presa d’atto (e di distanza): i buoni propositi non bastano, anzi sempre più spesso si rivelano una fregatura. Un modo per prendere tempo. “Il convitato di pietra, che ha confermato la sua autorevolezza in importanti tavoli nazionali, dovrebbe, prima possibile, azzerare gran parte delle deleghe – scrive Condorelli -, guardare in faccia il Parlamento regionale, porre temi concreti e comprendere non solo chi voglia stare in maggioranza, ma chi abbia la capacità di portare avanti un progetto. La faccia più in vista in gioco è la sua, aveva detto che non si sarebbe mai consegnato a una maggioranza fatta di ricatti e pressioni. Siamo arrivati all’opposto: l’inconcludenza”.

E’ fin troppo ovvio che qualcosa non funziona. E così, come d’incanto, anche gli antichi crediti vantati presso una stampa notoriamente “governista”, a tratti “velinara”, sono venuti meno. Schifani, con un approccio finto tranchant, non è riuscito a governare i suoi rancori. E nemmeno le richieste piovutegli dall’alto – vedi Fratelli d’Italia – che l’hanno costretto a mandar giù, fin da subito, pillole amare. Ad esempio nella scelta degli assessori, che non rispettano le inclinazioni e le competenze dei singoli, né i desiderata del governatore, che di alcuni di essi avrebbe fatto volentieri a meno (l’aveva anche detto ma non è servito di fronte ai primi rigurgiti patrioti). All’ex presidente del Senato, poco avvezzo all’amministrazione e al governo, sarebbero servite spalle solide su cui poggiarsi. Invece, sempre più spesso, l’accentramento delle decisioni rivela una scarsa fiducia nei confronti di chi lo circonda.

Nonostante i salamelecchi di Forza Italia provino a convincere l’opinione pubblica che un presidente così non l’abbiamo mai visto prima – lo dipingono come un eroe moderno – la ricerca della perfezione schifaniana è ferma ai proclami: il caro voli, le royalties sulle rinnovabili, le cazziate ai burocrati. E ai regalini: come le mance pre-elettorali a enti e associazioni, o i “vitalizi” da 60 mila euro l’anno per qualche amico di vecchia data, richiamato al lavoro in qualità di esperto (su tutti Armao e la Vicari). Non c’è nulla che riguardi l’oggi e il domani del governo. Non c’è niente che alimenti una prospettiva o anche solo una speranza. E soprattutto non c’è qualcuno che l’aiuti. Né gli assessori, tanto meno i deputati, tagliati fuori da ogni dibattito. L’unica cosa che ha fatto l’Ars, senza nemmeno consultarlo o interrogarsi sulle conseguenze, è stato l’aumento delle indennità dei parlamentari. Poi, al netto della Finanziaria impugnata e del test del capello, non si ricordano discussioni su cosa sia utile e cosa no.

E così passa il messaggio dei deputati che guadagnano di più – siamo a 12 mila euro lordi al mese – e non producono nulla. Anzi, saranno in ferie fino al 6 giugno e ad attenderli c’è un ordine del giorno che grida vendetta, tra farmacie rurali e debiti fuori bilancio. Sembra il ritorno della (odiata) Casta. “Un disastro che forse non ha precedenti – scrive Condorelli – e le colpe non possono ricadere sulle opposizioni, “democraticizzate” in cambio di qualche festa patronale o del finanziamento di qualche presepio: l’unica responsabile della paralisi è la maggioranza”. Già: ci sarebbero pure le opposizioni, che al netto di qualche scaramuccia (vedi il caso SeeSicily sollevato dai Cinque Stelle), si sono accodate alla lentezza di questa legislatura da sbadigli. Tutto vento in poppa per il governo, che tuttavia non riesce ad approfittarne e sta sprofondando nelle sabbie mobili. Il primo avvertimento di Galvagno (“Posso tenere l’aula aperta h24, ma manca la carne al fuoco”) ha provocato un timido summit per definire la roadmap delle riforme; il processo, però, ha subito un nuovo stop a causa delle immediate scadenze per le Amministrative.

La partita di domenica dirà molto, ma non tutto. La vittoria quasi certa del centrodestra a Catania – molto più incerte le sfide di Siracusa, Ragusa e Trapani – sarà la conferma plastica che una corazzata resta tale senza il supporto del buon governo, senza un feedback di impegno (o anche solo di ingegno), senza una prova di competenza. E’ la democrazia, bellezza. Ma forse è il caso di cominciare a riempire questo contenitore sempre più capiente. Sintonizzarsi col malumore dei siciliani per evitare di essere travolti da una forma di populismo indotto. Perché cinque anni di governo non diventino soltanto una parentesi tra campagne elettorali. Concorda persino Condorelli: “Ci vuole il colpo di reni per assicurare un futuro alla Sicilia, fatto di meno passerelle, meno convegni celebrativi e improbabili tagli del nastro e più fatti. O è forse il caso di tornare a votare per le regionali?”.