Anche dopo la scissione di Italia Viva – che nell’Isola per la verità procede un po’ a rilento – il Pd siciliano arranca. Una dimostrazione plastica arriva dall’assemblea di sabato scorso a Palermo, in cui persino il commissario regionale Alberto Losacco ha avuto prova di “forti contrapposizioni”. Ma ora che la categoria dei “renziani” è scomparsa, a rompere le uova nel paniere ci pensano gli “ex renziani”, che hanno trasformato l’appuntamento del Don Orione nell’ennesima conta interna: “Non mi aspettavo nulla di diverso. Quella di sabato era l’assemblea di un partito sfilacciato – esordisce il deputato regionale, ed ex assessore all’Agricoltura, Antonello Cracolici – Rimetterlo insieme non sarà una passeggiata. Abbiamo passato mesi a discutere di congresso e cavilli procedurali, a parlare di posizionamenti e manovre di piccolo cabotaggio. Cosa ci aspettavamo? Insisto su un concetto: che il Partito Democratico è più forte nel sentimento dei suoi elettori che non nella sua struttura organizzata. Che poi non c’è nulla di organizzato…”.

Cosa occorre?

“Senso della misura. Ed evitare che qualcuno ci possa sabotare dall’interno”.

Non erano i “renziani” il problema?

“Più che distinguere fra “renziani” ed “ex renziani”, il problema è che la mamma degli scimuniti è sempre incinta. In un momento come quello che sta attraversando il Pd, c’è una parte che vive di rancori e di rissosità. Diventa difficile giudicare delle persone che forse hanno dei problemi esistenziali. Non è un fatto politico, ma psicanalitico”.

Ora che non c’è più Faraone a chi darete la colpa?

“Io non sono tra quelli che ha costruito la propria cifra politica sulla presenza di Faraone. Lui è stato l’interprete di un progetto politico che ha disinvestito sul Pd, l’ha fatto diventare un coacervo di odi, rancori e veleni. Quando fai perdere lo spirito di comunità alla comunità in cui operi, e dai l’idea che tutto è finalizzato al tuo destino personale, questo è il risultato. Se siamo commissariati vuol dire che abbiamo una malattia che va curata. Qualcuno deve darsi una regolata, o sarà difficile andare avanti”.

E’ ancora un problema di classe dirigente?

“Siamo stati commissariati perché una classe dirigente ha fallito. Non vorrei che gli stessi protagonisti di quel commissariamento facciano spallucce per dire ‘oh, come mai?’. Alcuni a mala pena rappresentano se stessi. Altro che classe dirigente”.

Non le dà fastidio che qualcuno – cito l’esempio di Sammartino – sia ancora in attesa di capire se vale la pena restare nel Pd o seguire Renzi?

“Anch’io ho la sensazione che qualcuno sia in attesa di capire come butta. Perché, magari, vuole attivare una scissione a rate. Ma non possiamo certo spingere la gente ad andarsene”.

A proposito della sua apertura a Micciché, il deputato Carmelo Miceli (ex braccio destro di Faraone) ha replicato che non si può andare avanti con la sommatoria del ceto politico.

“Miceli dovrebbe avere il buonsenso di stare zitto per i prossimi mesi. E’ uno dei simboli del fallimento del Pd. E’ stato il segretario del partito a Palermo, ma nessuno sa cos’abbia fatto. Non è che se uno rimane – e questo è un dato politico – possiamo portagli l’agnello sacrificale in segno di gratitudine. Anche quelli che sono rimasti hanno commesso degli errori. Non esiste assoluzione. Mi piacerebbe, però, che coloro che finora sono stati davanti alla tv e hanno cambiato canale col telecomando, propongano qualcosa di utile anziché limitarsi a giudicare gli altri. Ci mettano la faccia e si misurino di fronte agli elettori”.

A proposito di Micciché. Aveva annunciato la nascita di un nuovo partito ma è subito rientrato nei ranghi di Forza Italia.

“Infatti evito di commentare gli annunci. Se Micciché creerà un nuovo soggetto, allora diventerà un fatto politico. Ma quello che sta avvenendo è un percorso che matura tra alcuni dirigenti del centrodestra: morire salviniani è una prospettiva devastante”.

Come si ricostruisce un Pd meno rancoroso?

“Intanto bisogna ricostruire una base associativa. Fa bene il commissario a essere rigido sulle regole di adesione. Alla chiusura del tesseramento, a dicembre, si convochino rapidamente i nuovi iscritti e si dia al Pd l’opportunità di decidere liberamente chi deve rappresentarlo nei prossimi mesi o anni. E’ chiaro che noi siamo un partito, non una lista elettorale, quindi abbiamo bisogno di quotidianità, di una voce, di essere un riferimento per le amministrazioni. Di non lasciare soli i nostri militanti. Se questa fase, invece, per qualcuno diventa l’occasione per fare una prova muscolare permanente, in tal caso vada in palestra e paghi pure. Usare il Pd come una palestra e senza neanche pagare è un furto”.

E’ d’accordo sul tesseramento online?

“Sì. L’iscrizione al partito deve essere un atto di libertà. Poi ci sono pigrizie, modelli culturali da superare, ma non è che possiamo far diventare anche il tesseramento un problema. Chi non vuole iscriversi è inutile che cerca storie”.

Ma il sindaco di Palermo Orlando, che ha preso la tessera del Pd prima delle ultime Politiche, è diventata un’entità astratta nelle dinamiche del partito?

“Ha preso la tessera – e qualcuno gliel’ha data – nello stesso istante in cui si è candidato Giambrone a Palermo. Ma mi pare che quella tessera sia andata in stand by un minuto dopo. Il Pd deve imparare a farsi rispettare al suo interno, non mi sembra che Orlando l’abbia fatto”.

In Umbria è arrivata l’ennesima disfatta.

“L’esito era abbastanza scontato. In Umbria si è arrivati al voto anticipato per un collasso del centrosinistra, per una vicenda giudiziaria che ha portato l’ex presidente della Regione a dimettersi. Anche lì si è dissolta una classe dirigente. Il voto di domenica è la conferma di questo dato. Ma c’è una cosa che non mi torna…”

Quale?

“Ho la sensazione che Di Maio stia operando più per sabotare che non per creare una prospettiva politica: schierare governo e coalizione nella vicenda umbra, dove anche i bambini sapevano che sarebbe arrivata una sconfitta, è stato un pessimo segnale. Mi chiedo se sia stato fatto con dolo”.

Ha fatto bene Renzi a defilarsi?

“Renzi è stato un furbacchione. Ma non ha vinto neanche lui. Bisognava evitare di dare al voto umbro una valenza nazionale. La politica è una scienza: se fallisci perdi. E lì abbiamo fallito”.