“Con il presidente Musumeci abbiamo valutato l’opportunità e, secondo me, anche il dovere di iniziare la nostra esperienza dentro FdI in modo nuovo”, ha detto a Live Sicilia. Resta il fatto che il grande escluso dalle prossime Regionali (dopo aver fatto cilecca anche alle Politiche) è il potente assessore alla Sanità: Ruggero Razza. Massimo esponente del cerchio magico di Musumeci, fino ad appropriarsi dell’appellativo di “delfino”, non figura tra i candidati di Fratelli d’Italia e, come la moglie Elena Pagana, è fuori dal listino di Schifani: un epilogo scontato, considerato l’astio fra il giovane rampollo della destra catanese e il coordinatore di Forza Italia, Gianfranco Micciché, esploso con violenza nella seconda metà della scorsa legislatura. In occasione di un fatto in particolare: la distribuzione sul territorio regionale degli 800 milioni del Pnrr destinati alla realizzazione di ospedali e case della comunità. Un passaggio non concordato con la commissione Salute dell’Ars, almeno in una prima fase, che fece andare in bestia il presidente dell’Assemblea regionale (piccato, soprattutto, per il comportamento di Marco Intravaia, segretario di Musumeci, che avvertiva i sindaci della “grazia” ricevuta e del rischio che il parlamento bloccasse tutto).

Tra Razza e Micciché, pur senza grandi esternazioni pubbliche (“Si sente l’imperatore Ruggero I. Ha anche chiamato il figlio Federico II”, fu la più celebre), è stato un rapporto tempestoso (secondo, soltanto, a quello fra Micciché e Armao). Uno di quei meccanismi contorti che ha fatto saltare il resto degli ingranaggi. Il vicerè berlusconiano ha sempre rinnegato l’atto di generosità nei confronti di Musumeci: cioè la “cessione” dell’assessorato alla Salute che, in base ai rapporti di forza stabiliti alle urne nel 2017, sarebbe toccato a Forza Italia. Invece andò al partito del governatore. E al giovane Razza, che fino a un certo punto della legislatura sembrava aver seminato discretamente, prima di perdersi nei gangli del Covid, da cui è uscito con le ossa rotta e numerose cambiali da onorare (in primis il rinnovo di nove mila precari). Il mal d’ossa, invece, è dovuto all’inchiesta che si è abbattuta sul suo assessorato, che per qualche tempo ha portato ai domiciliari la dirigente del dipartimento Attività sanitarie e osservatorio epidemiologico, Maria Letizia Di Liberti, cioè il braccio destro dell’assessore. Il quale risulta attualmente imputato per falso in concorso.

E’ il 30 marzo 2021 che comincia il declino politico di Razza. Finito nello scandalo della procura di Palermo – più per qualche telefonata superficiale (la storia dei “morti spalmati”) che per la propria condotta – ne esce istituzionalmente annichilito. Si dimette da assessore, Musumeci ne loda il gesto pubblicamente (in parlamento) e poi lo richiama due mesi dopo, nonostante l’inchiesta. Da quel momento resterà a piazza Ziino, ma deciderà di abdicare al ruolo di braccio destro del governatore: “Tra i miei errori del passato – disse il 23 maggio dell’anno scorso a ‘La Sicilia’ – c’è stato quello di aver dato la percezione, accanto al ruolo istituzionale, di entrare a gamba tesa nelle vicende della politica e nei rapporti fra le forze della nostra coalizione. Se ho dato questa percezione, difficilmente accadrà nel futuro”. Fino a quel momento si era reso protagonista di alcune operazioni interessanti: su tutti, la disintegrazione del Movimento 5 Stelle, da cui si staccò la costola di Attiva Sicilia (poi diventata stampella del centrodestra); ma anche di alcuni errori grossolani, a partire dalla creazione di ‘Ora Sicilia’, il movimento legato alla famiglia Genovese, che poi venne smantellato all’Ars (per l’addio repentino di alcuni deputati) e oggi si ripropone al fianco di Raffaele Lombardo; o, ancora, il tentativo di scalata all’Udc, naufragato sul nascere.

Razza era stato anche l’artefice del corteggiamento fra Salvini e Musumeci, anche se la proposta di federazione con la Lega naufragò sul più bello. Ma re Ruggero è stato (anche) una figura assai ingombrante: come testimonia la fagocitazione dell’Oasi di Troina, l’istituto di ricovero e cura per i disabili, divenuto l’ufficio di collocamento degli ‘esclusi’ di Diventerà Bellissima: cioè degli uomini vicini ad Alessandro Aricò, che furono piazzati nell’Ennese per compensare il mancato turnover, alla Sanità, fra Razza e il deputato palermitano. Il responsabile della Salute ha lasciato il segno su altre importanti realtà, assoggettandole: a partire dal Cefpas, il centro di formazione per medici e operatori sanitari, che oltre a sfornare i futuri manager della sanità, è diventato il baricentro dell’attività di governo per mille altre cose (fra cui la gestione dei soldi del Pnrr destinati all’innovazione tecnologica, o la creazione del Cerpes, il centro per le epidemie e le pandemie che aspira a diventare punto di riferimento in tutto i Mezzogiorno). E metteteci pure il rinnovo in extremis, dopo 16 anni, del contratto dei medici a bordo delle ambulanze (con un sostanzioso aumento delle indennità aggiuntive); gli accordi con la sanità convenzionata, che prevedono un surplus economico di 35 milioni per “impedire la mobilità passiva”; le proroghe e le assunzioni a tutto spiano.

Razza è stato senza dubbio uno dei potenti di questo governo. Ha gestito un pacchetto da 9 miliardi circa (tanto vale la Sanità per il bilancio regionale). Ha giostrato le nomine fin quando l’Ars, con una norma ad hoc, lo ha privato di questo strumento redditizio negli ultimi mesi di legislatura, a cavallo delle elezioni. Ha sempre dato l’impressione del fido scudiero di Musumeci, non l’ha mai tradito. Così, dopo aver attraversato una fase low profile (per i suoi guai processuali), è tornato ad alzare la voce, lagnandosi per la mancata conferma del governatore sullo stallo di palazzo d’Orleans: “Il presidente uscente che ha governato con tutti i partiti del centrodestra (e che ancora oggi siedono nella sua Giunta), che ha risollevato le sorti della Regione, che è primo in tutti i sondaggi possibili, che è una persona onesta e perbene, che non ha mai ricevuto faccendieri, che non ha mai dato scandalo per ragioni morali… E ancora cercano candidati!”.

Al posto di Musumeci, però, arriva Schifani, e così Razza – anche se la politica è l’arte del possibile – sarà costretto a cedere il suo impero. A passare di mano i ‘privilegi’ che un onore e un onere così importante comporta. A osservare dalla finestra che qualcuno raccolga i cocci (“I problemi all’80% stanno nell’assessorato alla Sanità, inutile nasconderselo”, disse Miccichè in una delle sue sfuriate). Potrebbe essere Massimo Russo, che Raffaele Lombardo ha fatto scaldare a lungo nell’attesa che da Roma trovassero la quadra su Schifani. Russo, il magistrato che ha già rivestito l’incarico col governatore di Grammichele, fra il 2009 e il 2012, è sul pezzo e ha ripreso a scrivere di buona lena, offrendo suggerimenti per il futuro (a Live Sicilia ha proposto la riforma del servizio sanitario nazionale, puntando sulla holding delle Arnas e sulla rete degli ospedali).

Razza rimarrà col cerino in mano (o quasi). A differenza di Manlio Messina, candidato al Senato alle spalle della Meloni, il suo nome è rimasto fuori dalle liste per le Politiche, dove Nello Musumeci ha scelto di mettersi in gioco da solo. Come da prassi. Senza che nessun’altro di Diventerà Bellissima avesse accesso al bottino più reclamato. Mentre all’Ars l’unico appiglio di famiglia resta la presenza di Elena Pagana, la moglie, che dopo i trascorsi grillini e un cambio di casacca in corsa, ha deciso di sposare il progetto della Meloni, candidandosi nel collegio di Enna. Senza alcuna ambizione di listino, ha detto lei. Rivederla all’Ars basterebbe a non recidere il filo diretto fra Razza e la politica. Anche se i bei tempi, ormai, sembrano alle spalle.