Prima le venticinque persone condannate per mafia a Messina, che avevano truffato lo Stato per 330 mila euro; poi la scoperta di Trapani, dove in 127, tra cui i fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro, ultimo boss di Cosa Nostra, avevano intascato il reddito di cittadinanza come se nulla fosse; infine, il blitz di Catania, dove in 78 sono stati denunciati per falso in atto pubblico, con l’accusa di aver percepito illegalmente 1,2 milioni di euro. Alcuni di essi erano pregiudicati, altri lavoratori in nero con auto di grossa cilindrata. Altri ancora ricchi ereditieri o proprietari di appartamenti. Uno aveva omesso la vincita di mezzo milione di euro nel gioco d’azzardo online. Attorno al sussidio di Stato, un modo per combattere le povertà e – almeno nelle intenzioni –accompagnare il re-ingresso nel mercato del lavoro, si celano gli interessi più disparati. L’assegno, infatti, viene spesso utilizzato come copertura per attività illecite.

E’ riconosciuto a quei nuclei familiari che, al momento della presentazione della domanda, dichiarano che nessuno dei componenti, negli ultimi dieci anni, abbiano ricevuto condanne passate in giudicato per reati di mafia. Ma, come dimostrano gli esempi più recenti, è un ostacolo assai facile da aggirare. A Salemi, era riuscito a farla franca Salvatore Angelo, ritenuto il signore dell’eolico per conto del superlatitante Messina Denaro. L’uomo (condannato a 8 anni per associazione mafiosa) era stato arrestato nel 2012 insieme a altri esponenti di spicco delle famiglie di Salemi e di Castelvetrano, nell’ambito dell’operazione “Mandamento”, che aveva messo in luce il sistema di infiltrazione mafiosa legata alla realizzazione dei parchi eolici della provincia di Trapani ed Agrigento. Avevano percepito l’assegno, inoltre, le mogli di altri tre fiancheggiatori di Denaro: Francesco Luppino, Matteo Tamburello e Maurizio Arimondi. Oltre all’imprenditore edile Vito Russo, che ha nascosto la condanna per mafia, spremendo alle casse dello Stato oltre 7 mila euro.

A Messina, invece, percepivano il sussidio persone legate, a vario titolo, alle cosche più importanti della provincia: Santapaola-Romeo, Sparacio, Spartà, Galli, Batanesi-Bontempo Scavo, De Luca, Mangialupi, Camaro, Tortoriciani, Ventura, Ferrante e Cintorino. Tra le principali attività illecite spiccano le estorsioni, l’usura, il traffico di sostanze stupefacenti, il voto di scambio, il maltrattamento e l’organizzazione di competizioni non autorizzate di animali.

Il quadro è questo: prendere o lasciare. E se da un lato il Movimento 5 Stelle continua ad esaltare la sua funzione sociale – dichiarando che lo strumento si è rivelato utile soprattutto in tempo di pandemia, dove le richieste hanno subito un autentico boom – dall’altro è chiaro che in tantissime occasioni il Rdc abbia contribuito a stimolare gli animi più criminali e senza scrupoli di cui la società siciliana è impregnata. Non solo i divanisti, che alla fine si adagiano e ne approfittano; ma soprattutto i boss, le cosche, gli spaccaossa, i criminali di primo pelo, cui lo Stato non dovrebbe concedere tanta benevolenza. Soprattutto in tempi di crisi.