I palazzi romani, eldorado del potere e della contaminazione politica, tanto da far sembrare tutti uguali (persino i “duri e puri”), si sono rivelati ostici per molti dilettanti allo sbaraglio. Il Movimento 5 Stelle rischia di uscire dalla doppia – magari tripla – esperienza di governo con le ossa rotte. Alcuni errori d’approccio (vedi Bonafede sulla giustizia), gaffe evitabili e misure a tal punto popolari da diventare populiste (il reddito di cittadinanza), hanno comportato uno scadimento di credibilità e la deriva nei sondaggi, oltre alla rottura di alcune alleanze necessarie ma incomprensibili: prima con la Lega, poi con Renzi. Tornare alle urne, però, sarebbe un rischio esagerato, e infatti nessuno lo considera. I tempi, però, sono già maturi per una disamina, sospesa a metà fra la voglia di fare, l’incapacità di realizzare e un futuro da scrivere. Il mito della poltrona, va da sé, ha un fascino irrefrenabile.

Tra Palermo e Roma si gioca una partita a doppia mandata che investe molti protagonisti della vita politica siciliana. Anche del Movimento 5 Stelle. Oggi pronti a diventare ministri, e domani, chissà, governatori. Il primo indizio porta a Giancarlo Cancelleri. L’ex vicepresidente dell’Ars, sbarcato a Roma grazie ai rapporti eccellenti con Luigi Di Maio, oggi è un sostenitore accanito del premier Giuseppe Conte. Ed è anche uno di quelli che vedrebbe di buon occhio la nascita di un partito del presidente. Sarebbe una soluzione più che comoda se fra un annetto e mezzo Cancelleri decidesse di candidarsi per la terza volta a Palazzo d’Orleans. Ne aveva espresso il desiderio tempo fa, scatenando mugugni e smentite da parte di altri esponenti del M5s siciliano, compagni d’avventura a Sala d’Ercole. Col tetto dei due mandati, Cancelleri non sarebbe fra i papabili. Cosa diversa se si presentasse sotto le insegne del PdC (il partito di Conte), con cui potrebbe contribuire ad allargare il campo, garantendosi il sostegno dei colleghi (grillini) di sempre e del Partito Democratico.

Il partito di Conte? “Dico che darebbe opportunità per tutta la maggioranza. Secondo me le Regionali siciliane sono l’occasione per scaldare i motori e fare un giro di prova”, ha spiegato Cancelleri a Live Sicilia, pur specificando che Giuseppi in questo momento “è un elefante che si muove in una cristalleria: Pd e Movimento 5 Stelle forse non lo guarderebbero positivamente. Io sono stato un precursore a dire che secondo me sarebbe importante un’esperienza di questo tipo, per rafforzare il patto programmatico”. Ma al momento Cancelleri è uno dei grandi saggi dei Cinque Stelle, grazie a una condotta autorevole sul tema delle Infrastrutture dove, onore al merito, è riuscito a riportare al centro dell’agenda alcune situazioni incancrenite. Suggerendo alla ministra De Micheli, meno esperta di cose del Sud, interventi indifferibili come la realizzazione della Ragusa-Catania. Cancelleri, inoltre, potrebbe appuntarsi al petto la ricostruzione del viadotto Himera – dopo cinque anni di imbarazzante vuoto cosmico – mentre non verrà certamente ricordato per il sostegno al Ponte sullo Stretto: ha sposato, piuttosto, l’idea del tunnel sottomarino (prospettata anche a Conte) che è tuttora al vaglio di una commissione istituita presso il Ministero. Ha dimostrato attivismo, e tanto basta per non renderlo avulso dal toto-ministri (sempre alle Infrastrutture o magari al Sud). I rapporti col governo regionale, nonostante la stima per il lavoro dell’assessore Falcone, non sono idilliaci.

Altri siciliani portano con sé i cocci di questo Conte-bis. Ad esempio, la catanese Nunzia Catalfo. Ministra del Lavoro silenziosa ma credibile per il suo trascorso da madrina del reddito di cittadinanza. “Uno strumento cruciale per aiutare le famiglie in difficoltà”. Le sono bastati pochi mesi per non lasciare il segno. O forse, un segno potrebbe lasciarlo sulla pelle dei 2.700 navigator, “i nostri ragazzi”, che non verranno stabilizzati al termine dei venti mesi di contratto che l’Anpal, l’agenzia nazionale per le politiche attive, ha rifilato loro dopo la vittoria del concorsone. Al massimo, verranno prorogati fino a fine anno. Utilizzati come un vecchio straccio per combattere la povertà. E poi buttati via. Segno tangibile che qualcosa non ha funzionato: che il Rdc è solo un sussidio e non uno strumento per approcciare il futuro; che i Centri per l’Impiego vanno rinnovati ora e subito, allo scopo di garantire – realmente – un collegamento tra domanda e offerta di lavoro. La Catalfo è in uscita da questa compagine di governo, assieme agli altri suoi compagni di ventura.

In primis Lucia Azzolina, la ministra dell’Istruzione che in questa fase della pandemia è riuscita a mettere tutti d’accordo. Dal Pd al Movimento 5 Stelle, passando per Salvini: ogni occasione è stata buona per rinfacciarle qualcosa. Dai banchi con le rotelle, oggi accatastati sui tetti delle scuole, alla Dad, la temutissima Didattica a distanza. Boccia, durante un Consiglio dei Ministro, le ha urlato in faccia: “Hai capito oppure no che non sei tu la scuola?”. Azzolina, originaria di Siracusa, ha altrove i propri natali politici. Come il Ministro Alfonso Bonafede, l’ex dj di Mazara del Vallo, la cui relazione sullo stato della giustizia è l’ultimo calcio sugli stinchi che ha portato Conte a dimettersi in anticipo. Per evitare gli imbarazzi che sarebbero sorti in Parlamento, fra Camera e Senato, attorno alla visione manettara del suo Guardasigilli (ne parla Sottile in questo articolo).

L’unico che si salva di questa allegra compagnia pentastellata è Giorgio Trizzino, medico, ex direttore sanitario del “Civico” di Palermo, sceso in politica con vero spirito di servizio, e sempre più garbato nella propria rettitudine. Punto di contatto fra Beppe Grillo e Sergio Mattarella – ma come avrà fatto a non lasciarsi attrarre da uno solo dei due poli? – la sua “lettera aperta ai partiti di maggioranza e opposizione” è stata condivisa sui social dal re del Movimento, e apprezzata nei torni dall’intero arco parlamentare: “Non può esistere in questo momento una distinzione tra maggioranza ed opposizione – aveva detto Trizzino, inascoltato, annusando il vento della crisi – perché tutti i rappresentanti del popolo devono contribuire uniti a sostenere, in uno dei momenti più bui della sua storia, il Paese. Nessuno cerchi scuse o pretesti per sottrarsi a questa grande responsabilità o ancor peggio faccia in questo momento biechi calcoli elettorali sul proprio futuro. Bisogna parlare un linguaggio concreto e di speranza agli Italiani perché sono i parlamentari a rappresentarli nei momenti propizi ma anche in quelli più difficili, come quello attuale”.

Oggi, di fronte alla prospettiva di riannodare il dialogo con Italia Viva, il medico non si sottrae: “Renzi non è né può essere il nostro punto di riferimento perché non possiamo rivolgerci ai singoli, soprattutto a quelli che hanno commesso errori imperdonabili, ma ai gruppi ed ai movimenti che hanno mostrato di condividere idee e programmi di governo. Questo e non altro è il senso dell’invito a non disperdere il tanto di buono che il governo Conte-2 ha fatto”. Trizzino, il cui nome per qualche ora ha iniziato a circolare come candidato premier, potrebbe entrare nel prossimo governo: un anno e mezzo fa sembrava pronto a un incarico da sottosegretario, poi svanito.

Tra i protagonisti certi della crisi, in un discorso che esula dai Cinque Stelle, ci sono altri siciliani. Davide Faraone, capogruppo al Senato di Italia Viva, il suo l’ha già fatto. Da picconatore del governo Crocetta prima, e da segretario del Pd (defenestrato) poi. Oggi resiste con Renzi, per non disperdere il patrimonio moderato che consente a Italia Viva di essere un partito forte – in attesa di misurarsi con le urne – anche in Sicilia (conta 4 deputati all’Ars e otto consiglieri a Palermo). Ma c’è anche Peppe Provenzano, uno dei ministri più apprezzati del Conte-due, allievo politico di Emanuele Macaluso. Si è speso per la fiscalità di vantaggio, che porterà a una progressiva detassazione del lavoro, in tutto il Mezzogiorno, da qui al 2029. Ha offerto “assistenza tecnica” alla Regione per la riprogrammazione dei fondi europei in funzione anti-Covid (quelli inseriti nella Finanziaria di cartone), sottolineando la scarsa collaborazione del governo Musumeci. E’ partito in sordina, quasi come un estraneo, ma pian piano s’è ritagliato le lodi del Pd siciliano, che su di lui punta – o vorrebbe puntare – anche per il futuro.

Atteso che Provenzano potrebbe lasciare il posto da ministro al suo capocorrente (l’ex Guardasigilli Andrea Orlando), qualcuno lo tira dentro la lista dei papabili per la presidenza della Regione. Il “compagno di Milena” fin qui s’è defilato. Ma saprà resistere dalla tentazione di riportare a sinistra la Sicilia?