Quanto durerà l’Aventino di Fratelli d’Italia alla Regione? La “crisi” spifferata all’Ansa, mentre i patrioti disertavano – su invito di Manlio Messina – la riunione di giunta propedeutica alla nomina dei commissari delle Asp, è una cosa seria o soltanto un parolone per intimidire Schifani? Se così fosse, qual è la prossima merce di scambio? Attorno al pateracchio consumato mercoledì all’Assemblea regionale, si è fortificata la linea di pensiero “garantista”. Funziona più o meno così: minacci la crisi, ti riduci a una verifica, ottieni uno strapuntino, e tutti amici come prima.

Anche Romna ha chiesto di “abbassare i toni”. L’ira funesta dei patrioti, sgorgata dai rivoli della Torre Pisana dopo il blitz dei falchi tiratori, andrà misurata in altri contesti che non siano le ricostruzioni affidate ai giornali: ad esempio la settimana prossima, quando il presidente dell’Ars Galvagno, uno dei più agitati, ha promesso di riportare in aula il Ddl province. Surreale, dopo quello che è accaduto. Ma si tratta comunque di una riforma a cui Schifani tiene tantissimo e su cui si fonda l’accordo con la Democrazia Cristiana di Cuffaro, già deluso dall’esito delle nomine dei manager. Se FdI deciderà di impallinare la proposta in aula, allora sarà vera crisi. Rimandare la sua trattazione equivale invece a prendere tempo, nella speranza che qualcuno, magari da Roma, ci metta una buona parola.

Ma per minacciare una crisi, il partito della premier dovrebbe capire chi è il cospiratore e cosa ci guadagna. E anche in questo caso, a rileggere le cronache dei giornali, il dubbio sorge: qual è il ruolo del nuovo plenipotenziario del partito, Manlio Messina, che peraltro ha acquisito sul campo il titolo di ‘esperto’ nel gioco al massacro contro Schifani (ricordate Cannes)? E quale, invece, il ruolo che si è ritagliato Ignazio La Russa, che l’ha piazzato sul trono d’Orleans per un semplice vezzo di potere?

Che all’interno di FdI esistano posizioni divergenti lo dicono i veleni sulla sanità e la nomina di Walter Messina (già commissariato da Schifani a Villa Sofia per aver perso un fiume di finanziamenti europei) nell’ospedale più grande del capoluogo: il “Civico”. L’ha voluto l’assessore alle Infrastrutture, Alessandro Aricò, scalzando Ferdinando Croce, il prescelto di Ruggero Razza (finito a Trapani). Anche di questo Messina, Manlio stavolta, si sarebbe risentito. Perché ognuno, all’interno di Fratelli d’Italia, va avanti per la propria strada. Senza farsi scrupoli dei sentimenti dei compagni.

Una crisi, però, determina delle conseguenze: in primis il ritiro degli assessori e l’uscita dalla maggioranza, contestualmente alla ricerca di altre soluzioni per proporre un nuovo governo. O le dimissioni del presidente. Uno scenario irrealizzabile allo stato attuale, dopo appena un anno di legislatura. Neppure le opposizioni, tranne qualche caso sparuto, hanno urlato ‘andate a casa’. Perché dovrebbero farlo quelli di FdI, con una prospettiva di vita quadriennale, uno stipendio lauto e col vento ancora in poppa?

Forse – questo è l’unico motivo che regge – per sfruttare il vento in poppa delle Europee, ove FdI toccherà ancora una volta il 30 per cento. Per far capire al resto della concorrenza che il partito della Meloni ha troppi santi in paradiso, e non merita le figure barbine degli ultimi due giorni. L’ha già dimostrato in altre regioni, a partire dalla Sardegna dove ha spodestato il leghista Solinas (come accadde a Musumeci) e messo la museruola a Salvini.

Questo pomeriggio Meloni era a Catania per visitare la gigafactory 3Sun, del gruppo Enel, che si appresta a passare, entro la fine dell’anno, dagli attuali 200 megawatt (MW) circa a 3 gigawatt (GW), diventando così la più grande fabbrica per la produzione di celle e moduli solari in Europa. In serata si recherà al Comune, ospite del sindaco Trantino, per assistere alle celebrazioni di Sant’Agata e potrebbe approfittare dell’occasione per avere un incontro ravvicinato con Schifani e La Russa (anch’egli in città). Forse non servirà neppure, dal momento che Schifani si è già messo in posa con gli assessori “ribelli” (Amata, Scarpinato e Pagana), segno di un riavvicinamento tangibile.

Anche se dentro FdI, in Sicilia e a Roma, si fa strada una una consapevolezza: che avere messo Schifani sul trono è stato un errore. Il personaggio non sa cosa significa governare, non sa come si gestisce una coalizione (ne è prova l’assenza di leadership di fronte agli episodi degli ultimi giorni), e con i suoi rancori si è creato il vuoto attorno. Più che una soluzione è un problema. Per questo il partito di maggioranza relativa, che adesso si mangia le mani per avergli dato una seconda vita politica, si trova davanti a un bivio: approfondire la crepa con Forza Italia & Co., scandendo i rintocchi del tempo; o accontentarsi di una ricompensa (ci sono i direttori sanitari e amministrativi da nominare, 36 poltrone in tutto, e le province da spartire) e tirare avanti con questo governo del malaugurio. Dove ogni alito diventa tempesta. Dove si cavalcano leggi incostituzionali in partenza, anziché far luce sulla questione morale (non era la Meloni ad affermare il principio della legalità?); dove non si perde occasione per rimanere sudditi di Roma e delle sue scelte; dove la sanità va a rotoli, il turismo è una privativa e persino i teatri lo stanno diventando. Forse bisognerebbe minacciare una crisi per questo, non perché un paio di deputati, a breve, saranno dichiarati decaduti e nessuno ha fatto niente per salvarli.

Meloni assisterà alle celebrazioni per Sant’Agata

In serata la premier sarà a Palazzo degli Elefanti per assistere al tradizionale spettacolo dedicato a Sant’Agata. “Sono molto contenta – ha detto – di essere a Catania in un giorno particolarmente importante per la città, forse il giorno più importante dell’anno, la festa di Sant’Agata. Voglio ringraziare il sindaco Trantino per avermi dato la possibilità di vedere dal vivo quella che viene riconosciuta come una delle tre manifestazioni religiose più partecipate al mondo. Una lunghissima storia di amore quella che lega Sant’Agata ai catanesi. È una storia di fede, devozione che parla di identità e tradizione che sono tutte cose che io credo valga la pena di difendere particolarmente in questo tempo”.