Se due teatri riaprono, se per la loro gestione si realizza una collaborazione tra alcune importanti istituzioni e l’amministrazione comunale, questa è sicuramente una notizia positiva che vale la pena riportare.

Se poi si aggiunge che una delle istituzioni è la Fondazione Orestiadi di Gibellina che presiedo, la circostanza aggiunge un ulteriore elemento di qualche rilievo non solo per me.

Significa che la lunga esperienza nel teatro contemporaneo- nel luglio prossimo avrà luogo la quarantaduesima edizione del festival- potrà essere utile per la città capoluogo.

I teatri Garibaldi e Montevergini, nel tempo attraversati da situazioni diverse e complesse, tornano ad essere centri vivi, luoghi per ulteriori offerte culturali.

La comunicazione del protocollo d’intesa tra il comune, il suo assessorato alla cultura e il teatro Massimo, il teatro Biondo, l’ente Orchestra Sinfonica, l’Accademia delle belle arti, il Conservatorio e giusto la Fondazione Orestiadi è stata data proprio al teatro Garibaldi dal sindaco della città e dall’assessore alla cultura in occasione dell’inaugurazione della mostra fotografica “Luci e memoria” di Tony Gentile, l’autore dell’immagine che ritrae insieme Falcone e Borsellino, divenuta iconica in tutto il mondo.

La mostra è infatti un omaggio ai due magistrati vittime della mafia in una struttura collocata proprio nel quartiere della Kalsa dove entrambi erano nati e a lungo avevano vissuto. Le grandi immagini esposte lungo le pareti del teatro e stampate su lenzuoli che richiamano una delle manifestazioni ripetute e condivise da molti cittadini di Palermo contro la mafia, danno quasi la sensazione, come lo stesso Gentile ha detto, che i protagonisti ritratti interroghino i visitatori chiedendo loro cosa abbiano fatto e cosa stiano facendo per continuare nella lotta di liberazione della città e della regione dalla stessa mafia.

Il teatro costruito nel 1861 e inaugurato da Garibaldi nel tempo è stato lo specchio delle difficoltà, delle ambiguità, dell’incapacità di questa città e della sua classe dirigente di tenere stabilmente in vita una struttura che è parte essenziale della sua storia.

Chiuso, riaperto, occupato, vandalizzato, è stato anche sala di proiezione cinematografica, per l’ultima volta è stato utilizzato nel 2018 in occasione della biennale d’arte contemporanea di Manifesta nel.

Ogni riapertura nel tempo è stata accompagnata dalla promessa che quel luogo non sarebbe più stato abbandonato, che sarebbe rimasto un presidio culturale in uno dei quartieri più difficili di Palermo. E tuttavia alle promesse sono seguite l’incuria e l’abbandono, l’incapacità di trovare un filo conduttore per proposte stabili e continuative. Non è una bella premessa certo, neppure per l’oggi. Tuttavia il coinvolgimento delle istituzioni chiamate a gestirlo insieme all’amministrazione comunale dovrebbe garantire un percorso diverso e finalmente duraturo. L’altro teatro che riapre alla fruizione della comunità cittadina è il Montevergini, teatro solo dal 2005 all’interno di una struttura con una storia antichissima che risale al 1400, con destinazione prevalente di natura religiosa o ecclesiastica e dove negli anni ‘50 venne celebrato il processo a Gaspare Pisciotta, luogotenente di Salvatore Giuliano.
Il protocollo di intesa prevede la realizzazione di “attività sinergiche e congiunte” tra le istituzioni richiamate. Uno degli obiettivi condivisi tra le stesse è quello di aprire alle proposte che verranno dalla città nel settore della musica, del teatro, delle arti visive e ad ogni altra iniziativa che abbia valore e che consenta, in particolare ai giovani artisti, di trovare sedi utili e stimoli necessari per la valorizzazione delle loro attività.

Già nel settembre prossimo la Fondazione Orestiadi aprirà quei luoghi con una programmazione teatrale rivolta al rapporto il Mediterraneo e Palermo, che da sempre ha dato accoglienza a storie ed esperienze diverse che qui hanno convissuto, rispettandosi ed integrandosi nel segno della contaminazione.

Questa scelta ha un valore culturale ma anche politico perché parla di disponibilità verso gli altri, di apertura e di ospitalità. Del resto, la cultura rappresenta uno degli strumenti più importanti di conoscenza tra i popoli e di crescita civile ed economica di una comunità, dandone il senso e la misura. Succede ormai da decenni a Gibellina, città di fondazione, dopo il terremoto del 1968, dove l’arte è divenuta il collante della comunità, in qualche modo la sua cifra, attenuando la perdita della memoria distrutta da quell’evento.