Mercoledì sera un trionfo, dopo nemmeno 48 ore (ieri sera) un altro: “doppietta” romana di Roberto Andò, si potrebbe commentare in termine calcistico se non si parlasse di un regista. Ma così è stato. Per «Ditegli sempre di sì» di Eduardo De Filippo («il primo Eduardo della mia carriera») gli applausi sono piovuti a dirotto in una sala storica della Capitale, l’Ambra Jovinelli; per «La tempesta» di Shakespeare, bis del successo in un altro teatro ricco di memorie, il Vascello, che fu il tempio della coppia Nanni-Kustermann da metà anni ’60.

Due spettacoli con un notevole rodaggio alle spalle, con due «commissioni» diverse, l’Eduardo in particolare che ha spopolato anche “in casa”, nella sua Napoli, al Diana.

«Ditegli sempre di sì», primo approccio di Andò con uno dei drammaturghi più rappresentati del Novecento, si può dire arrivi da lontano, da quel Francesco Rosi, napoletano, maestro del cinema italiano, con il quale, giovanissimo, il regista palermitano cominciò a lavorare sul set. «Carolina, figlia di Rosi, attrice che ha ereditato dal suo compagno Luca De Filippo, l’onore e l’onere della “Elledieffe”, la compagnia di Luca, dopo la sua morte, me lo propose due anni fa. Morto Luca, doveva affidarsi a registi non capocomici, come era nella tradizione dei De Filippo. Prima di me c’erano stati Mario Martone per “Il sindaco del rione Sanità” e Marco Tullio Giordana per “Questi fantasmi”. “Ditegli sempre di sì” è un copione di straordinaria bellezza, teso sul filo della follia, ha eredità pirandelliane, è comico e tragico insieme. Un’opera giovanile che Eduardo non riprese mai perché la recitava con Peppino e, dopo il divorzio artistico dal fratello, sembrò quasi non più amarla. È stato Luca a ripescarla nei primi anni Ottanta».

Gianfelice Imparato è il protagonista dello spettacolo di Andò e ha accanto Carolina Rosi e «una compagnia tutta napoletana di grande empatia ma alla quale ho chiesto, al tempo stesso, grande rigore espressivo».

Cast tutto palermitano invece (fatta eccezione per il Prospero protagonista del napoletano Renato Carpentieri) per «La tempesta» scespiriana già vista al Teatro Biondo e che dallo scorso dicembre, dopo il successo milanese di maggio al Piccolo, ha ripreso la tournée. Prodotta dallo Stabile palermitano, sotto la gestione di Roberto Alajmo, è un altro spettacolo al quale Andò è «visceralmente» legato. «Non solo perché, come si sa, vagheggiavo da tempo di mettere in scena questo strepitoso testamento di Shakespeare e non solo perché è nato nella mia città ma proprio per questo ensemble di interpreti che sono cresciuti in parallelo a me in questi decenni, tra esperienze comuni e diverse, da Vincenzo Pirrotta a Filippo Luna, da Paolo Briguglia a Paride Benassai, attori acclamati da tempo in tutta Italia».

Adesso Andò torna a Napoli dove il primo gennaio si è insediato alla direzione dello Stabile partenopeo. «È un momento di primi contatti, di sopralluoghi delle sale (il Mercadante e il San Ferdinando, il teatro quest’ultimo che fu di Eduardo, ndr.), di riflessioni sul da fare». Ma Napoli gli dà per il momento più urgenti pensieri: napoletana è infatti l’ambientazione del suo nuovo romanzo, «Il figlio nascosto» che esce per La Nave di Teseo il 16 gennaio («non posso anticipare nulla pena il taglio della lingua da parte di Elisabetta Sgarbi e del suo severissimo ufficio stampa») e il set, tutto partenopeo, del suo prossimo film, tratto proprio da quest’ultimo figlio di carta. Primo ciak il 14 aprile.