In un giorno imprecisato del 1985, in un albergo della città dei templi, Vincenzo Muccioli, il fondatore della comunità di San Patrignano, partecipa al convegno “Agrigento: una città di fronte alla droga”. Un organo d’informazione locale invia per intervistarlo un giovane collaboratore. Nel cassetto di una scrivania, nella casa che fu dei genitori di quel bravo giovane, il foglio dattiloscritto col testo di quella breve intervista è rimasto a ingiallire fino alle ore 17,00 del 6 gennaio 2021.

Vincenzo Muccioli ha terminato il suo intervento e decine di persone già lo assediano, alcune solo curiose, affascinate da un personaggio famoso e discusso;  altre per parlargli di una vicenda personale, per chiedergli se in comunità c’è ancora un posto per un figlio che si è perduto. Quando, con fatica, riesco a trascinarlo in un angolo, sono in tanti ad avvicinarsi, per guardarlo, per ascoltarlo ancora.

D: Non è passato molto tempo da quando il Tribunale di Rimini l’ha condannata per avere trattenuto alcuni giovani contro la loro volontà. Dopo la sentenza, è cambiata qualcosa a San Patrignano?

R: A San Patrignano esiste una continua determinazione per salvare la vita di chi arriva per chiedere aiuto. C’era prima, c’è adesso.

D: Anche dopo la condanna, lei è sicuro di essere nel giusto?

R: Io sono sicuro di avere salvato mille vite, quindi non mi ritengo quell’elemento socialmente pericoloso che hanno cercato di farmi apparire, inoltre continuo ad asserire che bisogna ricorrere ad ogni supporto per salvare un essere umano. In quei casi estremi in cui la persuasione non serve, io ho il dovere di trattenere un giovane e di allontanarlo dalla sua distruzione. In questi casi ogni altro rimedio è utopico, perbenistico e inutile. Ma solo in questi casi. Bisogna, infatti, che ci siano dei controlli per smascherare quelle comunità che fanno sistematico uso della coercizione.

D: Muccioli, non pensa che tra lei e i suoi giovani possa crearsi una pericolosa dipendenza psicologica?

R: Lei non è dipendente da suo padre? Un uomo deve essere rispettoso di un altro uomo. La società così si regge, altrimenti si ha un individualismo che conduce alla disgregazione.

D: Ma lei cosa rappresenta per i suoi giovani: un guaritore, un guru, una nuova famiglia?

R: Sono un uomo che non è rimasto indifferente nei confronti dei loro drammi. Mi sento solo un uomo.