Dietro le nomine dei manager della sanità c’è pochissimo di sanità. C’è una mappa di potere da aggiornare, o meglio, da ricostruire. Una sceneggiatura in cui Renato Schifani si ritaglia la parte del leone, ma gli altri non stanno a guardare. Ne è prova il fatto che la nomina dei direttori generali è stata rinviata già un paio di volte e alla guida di Aziende sanitarie e ospedaliere, prima a maggio e poi ad ottobre, sono rimasti i commissari (scelti anche loro dalla politica, quando a dare le carte erano Musumeci e Razza).

A fare il direttore generale di una Asp o di un ospedale ci si arriva attraverso la partecipazione a un Avviso pubblico. Per partecipare servono delle competenze, oltre che il superamento di alcune prove che garantiscono l’iscrizione a un elenco. Per questo, all’interno di quella lista che comprende una novantina di profili, nessuno può sospettare delle qualità dei candidati. La questione assume un altro aspetto quando i candidati diventano ‘pedine’ nelle mani dei politici, che oltre a determinare la loro collocazione (geografica), vorrebbero influenzare – e finiranno sicuramente col farlo – l’indirizzo gestionale (in primis le procedure di selezione del personale). E’ qui che il dirupo diventa un rischio incombente e concreto. E nemmeno la proposta – certamente onesta – di Totò Cuffaro di decidere per sorteggio la destinazione finale dei “migliori”, consentirà ai “migliori” di avere le mani libere per fare le cose più utili, e pianificare per i prossimi tre anni (tanto dura un incarico).

Perché la politica è abilissima nel ramificarsi, cercare i contatti, trovarli e nell’utilizzarli a beneficio della ‘casta’. In caso contrario non ci sarebbe alcuna perplessità da parte delle opposizioni – che operavano allo stesso modo quand’erano governo – e dei sindacati. Il fatto che si tiri la corda fino all’ultimo minuto utile, dopo due rinvii (l’ultimo dei quali imbarazzante per tutti, compreso Schifani), significa che la mappa del potere non è perfettamente delineata e che una casella fuori posto potrebbe far implodere la compagine di governo, cioè il centrodestra. Succede con la sanità, è successo con il sottogoverno delle partecipate, persino con le mance in Finanziaria, e sarà così per sempre.

Ma in questo momento ciò che preme sapere maggiormente è se Schifani e la sua giunta, entro stasera, saranno in grado di approvare una delibera coi 18 nomi in ballo, così da garantire entro domani i decreti di nomina da parte dell’assessorato alla Salute (per i Policlinici servirà più tempo perché saranno i rettori a proporre una terna di nomi al governo). Se così non fosse scatterebbe un’altra proroga, perché le poltrone non potranno rimanere libere nemmeno per un minuto. Ad ogni modo, quello che sta succedendo nelle stanze del potere è difficile da rappresentare. Ci sono le Asp più ambite (e suona strano che la Faraoni, poco brillante a Palermo, sia contesa anche a Catania); ci sono i profili ingombranti, come quello del “giovane” Ferdinando Croce, indagato anche per l’inchiesta sui dati Covid, che l’ala musumeciana e razziana di Fratelli d’Italia vorrebbe inquadrare al ‘Civico’ (non male come prima esperienza da dg).

Poi ci sono gli schemi: Fratelli d’Italia, che non cede un millimetro, vorrebbe occupare sette posizioni apicali (su 18) e non sembra disposta a rinunciare a nulla; mentre la Lega si presenta all’incasso spaccata in due. Da un lato la figura di Luca Sammartino, che vorrebbe piazzare una bandierina a Messina per far felici i suoi seguaci (tra cui il presidente della VI Commissione all’Ars, Pippo Laccoto, e il nuovo segretario in pectore: Nino Germanà); dall’altro Annalisa Tardino, che potrebbe essere la prima vittima sacrificale della Lega, se la sua pretesa di ottenere una poltrona a Palermo, e di spartirsi le altre (cinque in tutto) con Lombardo non dovesse andare a buon fine.

La Lega, in effetti, è la compagine che rischia di più e, come effetto di questa polarizzazione, potrebbe scindersi in maniera definitiva (un trauma con le Europee alle porte). Salvini, che dovrebbe impedirlo ‘fisicamente’, all’ultimo giro in Sicilia ha marcato visita, lasciando che le incomprensioni assumessero toni da saloon. Con Schifani spettatore incuriosito. Anche se il presidente della Regione dovrà resistere a un’altra fragilità: cioè la tenuta dei rapporti con la Democrazia Cristiana. Gli esponenti cuffariani, un giorno sì e l’altro pure, promettono lealtà al governatore, ma dopo essere stati esclusi dal listone di FI per le Europee, quanti altri bocconi amari potranno mandare giù? Cuffaro ha simulato disinteresse per l’Asp di Agrigento, dove coi forzisti Gallo e La Rocca Ruvolo (fresca di nomina a segretaria provinciale) non corre buon sangue; ma di fronte a un’eventuale rinuncia, dovrà scattare una compensazione. A dispetto di chi?

Risolta una grana ne spunta sempre un’altra. E un’altra ancora potrebbe spuntare all’indomani delle nomine perché – senza sapere come andrà – si è già manifestato lo spauracchio dei ricorsi. Colpa di una suddivisione degli idonei in due elenchi: gli ‘idonei’ (e basta) e i ‘maggiormente idonei’, una lista di 47 manager di Serie A, con l’asterisco sopra, che la commissione giudicatrice avrebbe indicato come i più capaci (o comunque i più adeguati a ricoprire un ruolo di così tante e grandi responsabilità). La lista dei 47 è quella da cui avrebbe voluto pescare Schifani, provocando i rimbrotti di Raffaele Lombardo; e che forse – ma sottolineiamo il forse – non varrà come regola, bensì come semplice raccomandazione. Qualcuno dei papabili, infatti, appartiene all’elenco generale degli ‘idonei’, e un paio di manager, come rivela un articolo di Live Sicilia, sarebbero addirittura incompatibili con l’incarico. Insomma, una tortura.

La Fp Cgil ci ha già messo il carico: “Si rischia di assistere ad una valanga di ricorsi al Tar per chiedere una sospensiva della delibera che nomina i nuovi manager della sanità nell’isola, le cui graduatorie sono state distinte in idonei e maggiormente idonei”. Il sindacato evidenzia “l’ennesimo pasticcio siciliano, per la verità non il primo, che viola l’Avviso Pubblico del 5 gennaio scorso in cui era prevista una graduatoria unica”. “Tutto questo – affermano il Segretario generale, Gaetano Agliozzo, e la Segretaria regionale, Monica Genovese – è destinato a determinare uno slittamento della data di nomina dei manager. Chi ha responsabilità di governo del territorio, non riesce a dare risposte adeguate, se non quella di continua a giocare una vergognosa partita politica, infischiandosene del diritto alla salute dei cittadini”.

E siccome a ottobre, un giorno prima dell’annunciata nomina, Schifani trovò l’alibi perfetto (cioè il mancato aggiornamento degli elenchi dei direttori sanitari e amministrativi) per lavarsene le mani, che garantisce che anche stavolta – con una scusa di ferro – non potrà ri-accadere? Per altro, e qui scendiamo nei tecnicismi, la nomina dei nuovi direttori generali sarà mascherata, almeno per un mese, dalla nomina di commissari straordinari che, in attesa della ratifica della I Commissione dell’Ars (tenuta a esprimersi sui curricula), si insedieranno con questa etichetta. E che in questa fase transitoria dovrebbero poter rinunciare anche agli “aiutanti”. Soltanto poi, quando riprenderà la giostra, si troveranno a scegliere – con la solita e infaticabile mediazione dei partiti – i direttori sanitari e amministrativi, figure utili a condurre le Asp in porto. Come avrete notato da questa lunga disamina, non compare mai una volta la parola ‘ospedale’ né la locuzione ‘pronto soccorso’: perché in queste nomine della sanità, la sanità non c’entra. E’ un orizzonte lontano e nemmeno così interessante.