La Sicilia non dovrebbe chiudere. Non ancora. L’isola si mantiene fuori dallo scenario 4, quello che a breve giro di posta (lunedì?) imporrà nuove strette al governo su base territoriale. L’indice Rt, che esprime il tasso di contagiosità, si attesta a livelli accettabili: sotto l’1,50. Ma i “positivi” continuano ad aumentare – 952 solo ieri, con diciotto morti – e tutti chiedono di poter accedere alle cure, asintomatici compresi. Dilaga la paura, ma così il sistema sanitario rischia di implodere. Qualcuno viene rispedito a casa, altri – i cosiddetti paucisintomatici (sono il 20% del totale) – finiscono nei reparti “normali”, come le Malattie infettive, anch’essi riconvertiti per affrontare il virus. Quelli più gravi, no. Hanno bisogno di assistenza straordinaria, di ventilatori polmonari, di stanze a pressione negativa. A questo punto la logica rimane prigioniera nella melassa dei numeri. Che hanno l’effetto della carta moschicida. E, soprattutto, non sono mai definitivi.

Qualcuno che rassicura c’è. Si chiama Renato Costa, il commissario per l’emergenza Covid in provincia di Palermo. Il fatto che ci sia voluto un commissario solo per Palermo, di per sé, non è molto incoraggiante. Ma non fermiamoci alle apparenze. Bensì ai fatti: “Nessuno finora è rimasto senza posto letto”, ha spiegato il sindacalista della Cgil, che Razza ha messo ai vertici della catena di comando. “La rete ospedaliera ha già a disposizione altri posti letto. Siamo in grado di raddoppiarli”. Bene. Peccato che l’ospedale “Cervello”, dove fino a due giorni fa erano occupati 10 posti su 12 di Terapia Intensiva, sia stato il primo a dichiarare la “crisi”. Poi è toccato al “Civico” chiudere il pronto soccorso. Sono i due principali nosocomi dedicati all’emergenza Covid (ci sono anche l’Ismett, a Carini, e Partinico), anche se i positivi spuntano come funghi anche altrove: a Villa Sofia, per esempio, dove i pazienti sono costretti a lunghe attese prima di accedere al Pronto soccorso.

Sentite cos’è successo a Ragusa. Alla vigilia della seconda ondata, si era deciso di destinare ai pazienti Covid il vecchio ospedale Maria Paternò Arezzo, sul cucuzzolo di Ibla. Posti di terapia intensiva? Quattro. Si pensava bastassero ad “accudire” una provincia che mesi fa il virus aveva risparmiato. Qualche giorni fa, però, la situazione si è aggravata e il direttore generale dell’Asp, assieme ai dirigenti della Regione, hanno dovuto rivedere completamente i piani: e hanno dovuto trasferire il Covid Hospital da Ibla al “Giovanni Paolo II”, l’ospedale inaugurato qualche mese fa da Musumeci dopo un incredibile trafila burocratica. La Rianimazione, così, è passata da 4 a 8 posti, che sono già in via di esaurimento. Ma già oggi è chiaro che bisognerà attingere ai letti – circa 25 – della terapia sub-intensiva. Ed è altamente probabile che un’intera ala dell’ospedale, dove prima sorgeva uno dei due reparti di Medicina, dovrà accogliere le postazioni per intubare i malati.

La protesta di un uomo all’ingresso del Giovanni Paolo II, a Ragusa

L’incertezza è alla base dell’isteria. Ieri un uomo si è incatenato fuori dall’ospedale: pretendeva che a una parente, col Coronavirus, fosse riservato una delle poche postazioni disponibili. Per non parlare del pronto soccorso, anticamera della follia: tutti aspettano, e si aspettano, una sistemazione. Anche il personale è in piena fase di riorganizzazione: ieri mattina è cominciato un corso di formazione accelerata per otorino-laringoiatri, oculisti, etc, che dovranno imparare a combattere il virus. E anche in fretta. Andranno via dai loro reparti per assistere i pazienti Covid. La Regione, nel frattempo, prova a contrastare la carenza di anestesisti: è stato siglato un accordo fra l’assessore alla Salute, Ruggero Razza, e i rettori degli atenei siciliani che prevede l’inserimento in organico degli specializzandi di quarto e quinto anno, con la formalizzazione del loro ruolo, e l’assunzione a tempo indeterminato alla fine della formazione. Verranno impiegati in Terapia intensiva.

Il livello di saturazione dei reparti siciliani di Rianimazione, ad eccezione di Ragusa, non è stato raggiunto. E negli ultimi giorni arrivano segnali semi-incoraggianti dai numeri: venerdì il saldo era di due pazienti, ieri di cinque (ma con 18 decessi). In totale fanno 122. La soglia critica, stimata dal Comitato Tecnico-Scientifico nominato dalla Regione, è di 175, cioè il 30% dei 588 posti allestiti per i malati gravi. Per tutti, non soltanto quelli Covid. E qui i numeri diventano infimi: ormai da giorni l’assessore Razza e il presidente Musumeci promettono di implementare le Terapia intensiva (di 251 posti) e quella sub-intensiva (318, metà dei quali riconvertibili al livello superiore). Arriveremmo a 800. La degenza ordinaria, invece, dovrebbe pressoché raddoppiare: dai 1.200 posti attuali a 2.500. Che sarebbe un bel traguardo, dato che in Sicilia, attualmente, sono 962 i ricoveri Covid “normali”.

Ma per un motivo o per un altro c’è qualcuno che blocca tutto: ad esempio, l’opposizione ferma dei 16 sindaci del Catanese, che non si rassegnano a perdere l’assistenza di base ad Acireale, una delle strutture che dovrebbe entrare in funzione per i malati Covid. Giarre non è pronto a rimpiazzarlo. Dubbi anche su Petralia Sottana, dove i 130 posti letto sarebbero certamente utili, ma solo in parte. Non essendo previsto un reparto di Terapia intensiva, infatti, se qualcuno si aggravasse bisognerebbe correre a Palermo, dato che l’ospedale Giglio di Cefalù non rientra tra quelli “dedicati”. Anche nell’Agrigentino, la mancata apertura della struttura di Ribera rischia di scombussolare i piani dell’Asp. Un paio di domeniche fa l’ospedale San Giovanni Di Dio ha lamentato il sold-out.

Per ampliare i reparti, introdurre letti e strumentazioni, effettuare le modifiche del caso, lo Stato ha finanziato la Regione con 128 milioni di euro – il soggetto attuatore dell’emergenza, Tuccio D’Urso, ha già individuato i 34 interventi da compiere – ma Musumeci non poteva spenderli fino al 7 ottobre, quando ha ricevuto la delega di commissario da Domenico Arcuri, a sua volta commissario per l’emergenza nazionale. La maggior parte degli interventi dovrebbero concludersi il 31 gennaio. Fra tre mesi, in sostanza. Anche se Arcuri – a questa prosopopea di Musumeci, che proprio non ne vuol sapere di assumersi una responsabilità – replica che “il comma 14 dell’articolo 2 del decreto rilancio diceva che le Regioni da maggio potevano realizzare gli investimenti per i piani di rafforzamento degli ospedali e il commissario poi li avrebbe potuti finanziare”. Bisognava muoversi prima.

La fragile sanità siciliana, che eredita un passato di sconquassi, è stata chiamata alla prova del nove senza alcun preavviso. Fino all’altro ieri, ha reagito discretamente bene. Resta, però, un macabro sospetto: poiché la Regione è al terz’ultimo posto nel rapporto tamponi/popolazione, quanti saranno i contagi “reali”? Razza ha chiesto ad Arcuri una dotazione di 35 mila tamponi molecolari al giorno (al netto dei test rapidi, che non rientrano nei conteggi), ma non ci sono le macchine per analizzarli. Anche le attese – intanto per avere una prenotazione, poi per scoprire il risultato – sono moderatamente lunghe. Ciò che inizia a mancare, a questo punto della pandemia, è il tempo per rimediare.