La sanità immaginata da Ruggero Razza – l’assessore è stato tra i più prolifici da inizio legislatura, sta riformando il settore e ha sbloccato i concorsi – sbatte ripetutamente la testa sui viaggi della speranza. Quelli che un sacco di siciliani, un quinto dei “malati” nel 2016, affrontano per spostarsi altrove e ricevere delle cure che in Sicilia non esistono, o delle quali non si fidano. Il numero, che di per sé fa riflettere, è estrapolato da una complessa indagine del Corriere della Sera, che mette a nudo la sfiducia atavica del Mezzogiorno verso le cure impartite negli ospedali del Meridione. Sono 770 mila le persone che ogni anno si spostano per ricevere assistenza – le cure più gettonate sono quelle antitumorali – o eseguire degli interventi delicati. Scelgono la Lombardia (dove il 16% dei malati arriva da altre regioni) come meta privilegiata, a ruota Emilia Romagna e Veneto.

Ai numeri, ovviamente, si accompagnano dei costi imponenti. Per le famiglie che si spostano, ma anche per le regioni da cui provengono, che devono sborsare nei confronti di quelle che erogano il servizio dei rimborsi eccezionali. Ad esempio, la Lombardia riceve ogni anno poco meno di 800 milioni di euro dalle altre 19 aziende sanitarie sparse per la penisola, un contributo decisivo al sostentamento dell’intero settore ospedaliero privato di Milano, per dirne una. Il costo annuo delle compensazioni, in linea generale, è di 4,6 miliardi di euro. Una sorta di autonomia differenziata, dato che siamo in tema, che non viene certo determinata dall’ingordigia delle regioni del Nord, la cui unica colpa è saper risolvere i problemi. Ma dalla proverbiale sfiducia di siciliani, pugliesi e campani nei confronti della sanità “home made”, da cui cercano di sfuggire quando possono. O meglio, quando serve. La Sicilia, ogni anno, riversa al resto del Paese 240 milioni in cure, seconda soltanto a Campania e Calabria. L’esodo costa carissimo, ma fin qui appare inevitabile.

Il viaggio della speranza è anche quello di numerosi bambini cardiopatici che nell’unico centro d’eccellenza dell’Isola, a Taormina, non possono – ad esempio – ricevere un trapianto di cuore. Non è un caso, oggi, parlare di Taormina: all’ospedale San Vincenzo, infatti, c’è la sede “distaccata” dell’ospedale “Bambin Gesù” di Roma. Il reparto di Cardiochirurgia pediatrica, sorto in questo lembo della Sicilia orientale, anziché in uno dei grandi centri sanitari dell’Isola, è figlio di una convenzione firmata nel 2010 dal governo di Raffaele Lombardo e costata alle casse regionali 40 milioni di euro. Un’operazione impugnata da Raffaele Cantone, presidente dell’Anac, l’autorità nazionale anti-corruzione, che ha girato il faldone direttamente alla Procura. Secondo Cantone, è stata elaborata “senza rispettare il diritto da parte dell’Unione Europea sui contratti far pubblica amministrazione e ospedali privati e senza alcuna motivazione evidenziata nel procedimento istruttorio in ordine a presupposti che hanno indotto la Regione siciliana all’affidamento all’Istituto”.

La convenzione, che porta in calce la firma di Massimo Russo, assessore alla Sanità dell’epoca, non garantirebbe alcuna trasparenza. E si è consumata in modo sospetto. Il reparto fu trasferito dall’Arnas Civico di Palermo, quello del chirurgo Carlo Marcelletti, a un piccolo nosocomio di Taormina. In posizione decentrata. La Regione si impegnava al “Bambin Gesù” appunto, centro d’eccellenza del Vaticano, 4,8 milioni per i primi due anni, 5,3 per i successivi tre, oltre a rimborsare i lavori di ristrutturazione edilizia e acquisto macchinari che la struttura romana non ha mai dovuto giustificare tramite una procedura concorsuale a evidenza pubblica. Insomma il “Bambin Gesù” poteva spendere quanto voleva, senza dover rendere conto a nessuno, pur di portare nell’Isola i livelli d’eccellenza raggiunti a Roma. Qualcosa s’inceppa quando nel 2016 il governo Crocetta si oppone al pagamento di 11,8 milioni per l’acquisto di attrezzature e opere realizzate. Quelle fatture vengono ritenute di troppo. Nasce un contenzioso in cui la Regione si impegna a versare 7 milioni. Totale, dal 2000 al 2016: 40 milioni di euro.

Ancora oggi, nonostante nel 2015 l’assessore Lucia Borsellino e il responsabile dell’Asp, Gaetano Sirna, abbiano provato a mettersi di traverso, finisce nelle casse del privato un milione l’anno per attività di sostegno e consulenza. Ma il risparmio sulla mobilità extraregionale – i viaggi della speranza verso mete più blasonate restano di moda – è trascurabile rispetto all’investimento, non lo giustifica. Si ferma infatti a 200 mila euro. Il governo Crocetta, che nel 2016 aveva deciso di riportare la Cardiochirurgia pediatrica al Civico di Palermo (anche oggi la sede ritenuta più consona, e certamente più attrezzata), consultò per un parere l’avvocatura dello Stato, che a sua volta inviò le carte all’Anac. Da qui la relazione di Cantone e l’esplosione della bolla. Affidamento bocciato e carte finite dritte alle procure competenti.

E mentre si consuma l’ennesimo scempio alla siciliana, il reparto al “Civico” sarebbe pronto da almeno un anno. La sua ristrutturazione è costata quasi un milione e mezzo di euro, e il concorso da primario, già bandito, aveva visto trionfare Sonia Albanese, una dottoressa del Bambin Gesù (la prima a realizzare un trapianto in ambito cardiaco) che però non ha potuto insediarsi. Perché il reparto è fantasma, la situazione è paralizzata e fino all’altro ieri mancava pure una certificazione anti-incendio. Adesso bisognerà formare il personale e accelerare le pratiche: entro fine 2019 il servizio potrebbe (finalmente) essere erogato nella sua sede naturale – in alternativa rimane l’Ismett – e i bambini, disposti in fila con un biglietto d’andata e ritorno per Roma, potrebbero fermarsi nell’Isola e ricevere le cure. Sarebbe una misura più “umana”, una soluzione a portata di famiglia. A proposito: la Regione, per mandare i bambini al centro specializzato del Vaticano, spende ogni anno 500 mila euro. Nonostante la convenzione multi-milionaria. Nonostante Taormina. Uno spreco di denaro inaccettabile.

LA REPLICA DI RAZZA

“La Regione non firmerà più una convenzione con ospedali e cliniche private senza alcuna evidenza pubblica e procedure trasparenti”. Dopo il provvedimento dell’Anac, che ha bocciato in modo sonoro la convenzione tra la Regione e l’ospedale Bambin Gesù del Vaticano, costata alla casse di palazzo d’Orleans 40 milioni di euro, l’assessore Ruggero Razza indica un cambio di marcia. Le procedure a evidenza pubblica sono state già utilizzate, ad esempio “per il rinnovo della convenzione con l’ospedale Giglio di Cefalù, nella parte in cui prevediamo la scelta dei soci privati con un bando pubblico. E utilizzeremo questo metodo per il futuro: che si tratti di rinnovi o nuove convenzioni” ha sancito l’assessore alla Salute.