Il primo problema che dovrà risolvere Claudio Durigon, da qualche giorno alla guida del Carroccio in Sicilia, sarà silenziare le chat interne. Gli insulti fra anime della Lega, infatti, sono letteralmente esplosi, finendo sui giornali, da quando Annalisa Tardino è stata “costretta” a dimettersi per un cavillo regolamentare individuato da Luca Sammartino: cioè che il ruolo di segretario è incompatibile con le attività della campagna elettorale (e la Tardino corre per la riconferma a Bruxelles). In realtà il vero ago della bilancia è proprio lui: il vicepresidente della Regione. L’enfant prodige della politica siciliana, da sempre col profilo basso, da qualche mese ha ingranato la marcia: dopo la vittoria alle Regionali ha ottenuto lo scranno di vice-Schifani, col quale va molto d’accordo, ma anche la nomina di Turano in giunta (poi salvato da una rimozione certa dopo le amministrative di Trapani) e una posizione di assoluto prestigio che gli ha consentito di portare dalla propria parte numerosi parlamentari dell’Ars. Quasi tutti in verità, ad eccezione di Marianna Caronia.

Sammartino primeggia nelle pubbliche relazioni, nell’azione di governo (col suo portafogli smisurato all’Agricoltura), nelle strategie da adottare. Adesso pregusta la riforma dei Consorzi di Bonifica, da cui trarrebbe nuova linfa. Inoltre ha fatto fuori un paio di segretari – era toccato a Nino Minardo prima della Tardino – e pian piano sta logorando Raffaele Lombardo, la cui federazione con la Lega ha una durata a breve scadenza (le elezioni Europee di giugno). Oltre non si andrà: perché i due catanesi, che evitano il più possibile gli incroci in pubblico, si detestano a pelle e non fanno niente per nasconderlo. Lombardo, nella campagna elettorale per le Amministrative di Catania, aveva parlato di Sammartino e Sudano come una “ditta” disposta a tutto pur di scalare il potere e con una presa di posizione muscolare aveva fatto virare l’interesse della coalizione verso Enrico Trantino.

A Sammartino, che di contro ha un ottimo feeling con Totò Cuffaro, non è mai andata giù. E’ stato il primo a opporsi alla creazione di un intergruppo parlamentare all’Ars, peraltro annunciato da Salvini al momento della federazione con il Mpa. Non se n’è fatto nulla, perché l’ex renziano non è convinto dalla formula: meglio che ognuno rimanga a casa propria. Questa federazione con gli autonomisti si è trasformata in una sorta di alleanza da cui, ognuna delle parti in causa, spera di trarre il maggior profitto prima di una separazione inevitabile (e indolore). Con buona pace di Salvini, che nella nota di qualche giorno fa, per annunciare Durigon, era costretto a un tentativo talmente diplomatico da apparire grottesco. Leggete qua: “Dopo le europee – faceva notare il Carroccio – riprenderanno le attività del movimento così come già programmate a partire dai congressi. In vista del voto per Bruxelles, la Lega è determinata a costruire una lista forte e competitiva: nelle isole, anche grazie al lavoro del partito al livello nazionale e locale, considerando anche la collaborazione con Mpa di Raffaele Lombardo, l’aspettativa è quella di un ottimo risultato”.

Difficile decriptare un messaggio volutamente criptico. Ma l’unica certezza, se il Capitano non vorrà scomparire dalla scena in Sicilia, è che Luca Sammartino rimane un’ancora di salvezza. L’unica, in attesa che il patto con Cesa e l’Udc attecchisca al Sud e nell’Isola. Perché la Lega, al netto dei suoi voti e di quelli di Lombardo, rischia di perdersi. Sammartino lo sa e, legittimamente, utilizza questa leva a suo vantaggio, senza curarsi delle accuse dei salviniani doc come Fabio Cantarella: “Nessuna faida – stigmatizza l’ex assessore di Pogliese in chat – Soltanto da un lato chi ama e chi serve il partito e dall’altro chi, pur avendoci sputato a mezzo stampa, ci sta per accaparrarsi le poltrone e se ne andrà quando saranno finite”. Probabile. Ma se i leghisti mantengono qualche poltrona, è anche merito della pesca a strascico di Sammartino, per di più in un territorio battuto come Catania.

Sammartino, per altro, è un catanese di destra (?) atipico: non sopporta Lombardo e non ha mai sopportato Nello Musumeci, ignorato la settimana scorsa al Pontificale di Sant’Agata, dopo che lo scontro fra i due aveva toccato un punto di non ritorno durante la precedente legislatura (l’ex governatore era arrivato a invocare l’intervento di “altri palazzi”, con esplicito riferimento alle vicende processuali del rivale). E sembra pure che con l’altro big etneo, Gaetano Galvagno, di FdI, le cose non vadano granché bene. Emerge da un’intervista del presidente dell’Ars a ‘La Sicilia’: “Quando alla vigilia del voto mi dicono che “è tutto sereno” e che dunque non c’è bisogno di un ulteriore passaggio che avrei fatto, significa che qualcosa non funziona. Se c’erano dei mal di pancia andavano intercettati e curati”, ha detto all’indomani della disfatta in aula sulle province. A curarli doveva essere – forse – lo stesso Sammartino, detentore della delega ai Rapporti col parlamento che Schifani gli ha affidato. Non sono bastate le foto di rito, durante la festa della santa, a sopire il malumore e i sospetti su chi abbia giocato sporco e su chi, ingenuamente, si è fidato.

In casa Lega, in attesa che Durigon faccia breccia, Sammartino ha già ottenuto un risultato tangibile con vista sul futuro: disarcionare la Tardino. E spera, coi congressi, di ottenere l’unica cosa che ancora gli manca: la guida del partito (con Nino Germanà). Per la forte amicizia con Cuffaro, e per la tendenza a cambiare spesso bandiera (è già passato da Articolo 4 all’Udc, dal Pd a Italia Viva) molti lo davano nell’orbita della DC. Ma è un’ipotesi poco praticabile, almeno al momento, per un motivo preciso: può uno ambizioso come Sammartino, accontentarsi di convivere in un bilocale? La Democrazia Cristiana, per ora, ha una connotazione regionale. Lui, da Mr. Preferenze, ha bisogno di ampi spazi e di un giardino su cui scorrazzare. Grande, magari, quanto il prato di Pontida.