Rispetto lo Scalfari amico, padre, nonno e ora idolo centenario di “una strana gioia di vivere”, come lo rappresenta un suo sodale e biografo della maturità, estraneo alla genesi e alla storia dello scalfarismo ma non al declino rampante del grande vecchio, il forte e chiaro Francesco Merlo. Nella drammaturgia o orchestrazione delle celebrazioni più andanti mi sembra si perda qualcosa di essenziale come il suo cinismo, il suo gusto per il potere e la frode intellettuale, la sua totale assenza di scrupoli, l’immoralismo travestito da predicazione di valori, il rapporto disinvolto con il denaro societario e il patrimonio personale, lo sfrontato provincialismo culturale, l’ambiguità politica, tutte cose molto importanti della sua personalità e del suo immenso successo di mercato come portavoce e profeta della nuova classe media italiana.

A me il suo gioco di specchi e di inganni piaceva perversamente, sebbene fossi sempre dall’altra parte dello specchio, perduto in altri inganni, e abbia strappato con le mie manacce, addirittura per difendere l’onorabilità di Claudio Martelli in Kenia, in un accesso di santa collera per l’ennesima aggressione commissionata a Pansa, un contratto da lui firmato quando andava a caccia di un’egemonia totale, compreso il “diverso parere” da incorporare nel suo bel mondo opinionistico. Mi piacque restare nel luogo che è mio di cercatore della morale ovunque ma non dove gli altri, le maggioranze rumorose, pensano di averla facilmente trovata. Continua su ilfoglio.it