Forse, prima, avrebbero fatto meglio a parlarsi. Da un lato Renato Schifani, che proclama lo stato d’emergenza e si inventa l’ennesima task force; dall’altro Roberto Lagalla, secondo il quale “non c’è alcuna situazione di emergenza idrica a Palermo”. La verità sta in mezzo. L’emergenza c’è, ma è talmente assodata, lunga, imperitura, inviolabile da non destare più sorpresa. La Sicilia è terra di emergenze: i rifiuti, i trasporti, la sanità, gli incendi. Questa – la siccità – con le altre. E anche questa, come le altre, prevede i soliti riti ogni anno. Il primo, il 13 marzo scorso, è stato la dichiarazione dello stato di crisi idrico che ha investito sei province (fra cui Palermo), con la nomina di un commissario (Leonardo Santoro). Da quel momento la situazione è precipitata, raggiungendo livelli di allarme preoccupanti. Per Schifani, a differenza del sindaco Lagalla, “la siccità sta diventando drammatica. La Regione ha già messo in campo una serie di azioni per mitigare la crisi (…) ma servono anche urgenti interventi statali”.

E qui il rito si ripropone. Da un lato il governo regionale, preso da mille urgenze elettorali, che colleziona il solito provvedimento blando: 5,5 milioni per prevedere sgravi dai canoni dei consorzi di bonifica e misure di semplificazione amministrativa (ma anche l’istituzione di un Osservatorio regionale sugli utilizzi idrici per monitorare costantemente lo stato degli invasi e delle riserve di acqua). Dall’altro, la prestante richiesta su Roma perché si attivi con la dichiarazione dello stato d’emergenza nazionale e faccia piovere sulla Sicilia milioni di piccioli. Nella relazione della Protezione civile regionale, che sembra aver colto in contropiede Schifani, il costo delle azioni a breve termine è stimato in 130 milioni di euro, mentre di quelle a medio termine è di 590 milioni di euro.

Cifra di una certa portata con la previsione di interventi sugli invasi, campagne di informazione e sensibilizzazione per il risparmio, interventi per reperire risorse alternative (come dissalatori mobili e navi con moduli dissalativi), acquisto di autobotti e silos per la distribuzione in luoghi pubblici, utilizzo di pozzi e sorgenti, riparazione di reti idriche, ammodernamento degli impianti di dissalazione nei siti dismessi di Porto Empedocle, Paceco-Trapani ed eventualmente anche Gela. Troppa grazia, Sant’Antonio. Tanto che lo stesso Schifani, secondo il racconto del Giornale di Sicilia, è caduto dalla sedia (o dal pero, fate voi): la richiesta infatti è “considerata sproporzionata e per nulla adatta a contrastare gli effetti della siccità”. I burocrati non hanno avvertito preventivamente il capo dell’esecutivo, che si è risentito per la notizia delle navi-cisterna in prestito dalle forze armate perché “avrebbe creato allarme sociale e provocato un gravissimo danno all’immagine dell’Isola, alla vigilia del periodo turistico estivo, strategico per la nostra regione”.

Per superare le conclusioni – non condivise – del dossier sotto accusa, ecco il piano-B: una bella task force. Senza rivelare i nomi, il governatore ha accennato che “siamo pronti ad adottare ulteriori provvedimenti per scongiurare gravi danni alla regione attraverso una qualificata e ristretta task force, snella e operativa, da me coordinata, che insedierò a giorni. Siamo certi che il governo nazionale si unirà agli sforzi di quello regionale per superare le criticità, così come ha fatto nel passato”. Insomma una nuova struttura per risolvere un problema annoso di cui, ovviamente, non può essere responsabile soltanto Schifani, ma che ancora una volta rivela l’inefficacia degli uffici al servizio degli assessorati, inadatti ad affrontare tematiche di così incombente attualità come una crisi idrica.

Ad esempio, una delle questioni che meriterebbe un approfondimento serio, come riportato da Repubblica, riguarda la presenza di fanghi e detriti negli invasi, che di fatto dimezza la quantità d’acqua utilizzabile per usi irrigui e potabili. La Sicilia ha bacini per riserve d’acqua capaci di contenere 708 milioni di metri cubi, ma gli invasi sarebbero pieni per poco meno della metà, 313 milioni di metri cubi. L’attuale disponibilità d’acqua, al netto dei sedimenti, all’ultima rilevazione del 18 marzo era di 178 milioni e mezzo di metri cubi. Cioè il 25 per cento della portata degli invasi. Altro problema concreto riguarda le reti colabrodo, per le quali la Sicilia, da anni, riceve multe e sanzioni da parte della Comunità europea. La depurazione è all’anno zero, ma non da adesso, non per il caldo anomalo di questo aprile, ma perché chi ha governato la Regione non s’è mai fatto carico del problema, “attratto” da altre questioni.

Schifani, però, ha scelto un altro approccio – quello dell’emergenza calata dal cielo e del salvatore della patria – e per questo sarà anche il commissario della pioggia (autoproclamato questa volta). Non gli bastava l’autostrada Palermo-Catania, né la realizzazione dei nuovi termovalorizzatori. Come un vero opinion leader, anziché delegare a tecnici competenti, mantiene per sé tutti gli incarichi più intricati e di grande risonanza mediatica, che esigerebbero un approccio meno populista e che invece finiscono per distrarlo dalla vera incombenza: governare la Sicilia (e non solo le emergenze).

E’ talmente preso dal ruolo, che in queste ore ha diffuso un vademecum (che si aggiunge al decalogo palermitano di Lagalla) per “richiedere l’impegno di tutti, istituzioni e cittadini, anche nei comportamenti quotidiani”: fra le misure troviamo, ad esempio, l’applicazione di valvole rompigetto ai rubinetti, l’invito a controllare l’efficienza degli impianti idrici, a razionalizzare l’utilizzo in cucina e a usare lavastoviglie e lavatrici sempre a pieno carico. E ancora il suggerimento di innaffiare solo nelle ore notturne, l’invito a non utilizzare l’acqua potabile per il lavaggio di veicoli privati, a preferire l’impiego della doccia rispetto a quello della vasca e a non alimentare con acqua potabile le fontane ornamentali e le piscine. Se qualcosa dovesse andare storto o non funzionare a dovere, tra un mesetto circa non rimarrà che appellarsi alla danza della pioggia (ma occhio, perché in caso di precipitazioni abbondanti, si passerebbe dall’emergenza siccità al rischio dissesto idrogeologico: qual è peggio?).