E’ l’ora dei pannicelli caldi e delle meschinerie. E’ l’ora in cui gli indagati per corruzione indossano le mascherine e tentano di apparire normali, oculati e, soprattutto, rispettosi delle istituzioni e del denaro pubblico. La danza dell’ipocrisia l’ha aperta il presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno, il golden boy di Fratelli d’Italia che, con la complicità di Sabrina De Capitani, la sua ape regina, ha trasformato Palazzo dei Normanni in un luogo di affari, di privilegi, di azzardi e imbrogli. Per gettare un po’ di fumo negli occhi dell’opinione pubblica ha detto – ora che l’inchiesta e i giornali lo hanno sputtanato dalla testa ai piedi – di rinunciare all’auto blu. Un grande sacrificio, povero figlio. Ma la palma d’oro dell’ipocrisia spetta ai due partiti della sedicente opposizione, Pd e M5s. Che dopo avere avallato tutte le scempiaggini di Galvagno e del suo clan, oggi hanno organizzato un sit-in davanti a Palazzo d’Orleans per costringere – così dicono – il presidente della Regione, Renato Schifani, “a una netta inversione di tendenza nella gestione delle risorse pubbliche”.

Ora – solo ora – Pd e Cinque Stelle scoprono che è esistita e continua a esistere, all’interno della maggioranza di governo, una “corrente turistica” che ha bruciato e divorato milioni di euro: dalla truffa di Cannes alla boiata di SeeSicily, dagli sprechi di Taormina Arte alle consulenze astronomiche del Bellini International Context, tutti eventi inventati e gestiti dal balilla Manlio Messina, ex assessore della giunta di Nello Musumeci, per accumulare consensi e costruire la sua scalata ai vertici nazionali del partito.

Ma prima dov’erano Pd e grillini? Erano nel Consiglio di Presidenza dell’Ars. Il portavoce del M5s, Nuccio Di Paola, da vice presidente vicario, e il dem Emanuele Dipasquale, da deputato questore, hanno fiancheggiato Galvagno in molte delle sue scelte. Anche le più dissennate. Come quella, arrogante e oltraggiosa, di licenziare con una pec la dirigente legittima, Patrizia Monterosso, e consegnare la Fondazione Federico II, con tre milioni di budget, a Sabrina De Capitani, la faccendiera calata dal Nord per guadagnare, in virtù del suo particolare rapporto con Galvagno, una carrettata di piccioli.

Per camuffare il colpo di mano, il presidente dell’Ars ha firmato alla sua “califfa” un contratto di collaborazione per quattordici mesi con una retribuzione di settantadue mila euro. Contratto che sarà valido fino a dicembre del 2025 e che né il vice presidente vicario Di Paola né il questore Dipasquale hanno intenzione di impugnare. Con quale faccia questi due alti esponenti di Sala d’Ercole andranno a piazzarsi davanti a Palazzo d’Orleans per il sit-in di protesta? Il guaio è che il rossore non compare più in quasi nessuna delle settanta facce che popolano l’Assemblea regionale. Ricordate che cosa ha detto un altro dei deputati questori – l’autonomista Giuseppe Geremia Lombardo – nella surreale seduta durante la quale l’Ars ha santificato il presidente sotto inchiesta? “Caro Gaetano, tu non devi fare un passo indietro ma due passi avanti”. Sipario, per favore. Ce lo chiede la decenza.