Incalzato da una monumentale e tagliente inchiesta di Repubblica, Renato Schifani mette le mani avanti e annuncia che la Regione farà di tutto per accertare eventuali responsabilità nei rapporti intrattenuti dai propri uffici e dai propri uomini con l’università bosniaca che, a Palermo, sfornava lauree in medicina, prive di qualsiasi titolo e valore. Buoni propositi, ovviamente. Al governatore della Sicilia non sarà sfuggito comunque un dettaglio: che Salvatore Messina, sedicente rettore dell’università fantasma, ha affidato l’amministrazione della società nella quale confluivano le rette degli studenti, allo studio Pinelli Schifani; studio in cui operano, manco a dirlo, gli avvocati Giuseppe Pinelli e Roberto Schifani, figlio molto intraprendente del presidente della Regione. Tutto lecito, per carità. Ogni professionista è libero di garantire assistenza ai clienti che bussano alla sua porta. E lo studio di piazza Virgilio, a Palermo, non è certo nato ieri: ha una sua storia, una sua esperienza, una sua credibilità.

Detto questo, bisogna però ricordare che, nel giro di una settimana, il Pinelli Schifani, chiamiamolo così, è finito per ben due volte sulle pagine dei giornali. A fine febbraio è stato elevato agli onori della cronaca da un comunicato dell’Aeroitalia, la giovane compagnia sulla quale il presidente della Regione ha puntato le carte di una sua campagna politica, molto energica e zelante, tesa a spezzare il duopolio del caro voli: quello formato da Ryanair e Ita Airways. Nella nota aziendale, Aeroitalia ricordava di essere stata trascinata in giudizio, presso il tribunale civile di Roma, dalla vecchia Alitalia per una diatriba sulla somiglianza dei due marchi; e, all’un tempo, ringraziava pubblicamente lo studio Pinelli Schifani per averle garantito una felice soluzione della vertenza.

Ordinaria amministrazione, verrebbe da dire. Se non ci fosse una questione di opportunità. Certo, nessuno può vietare a un uomo politico di avere dietro di sé – accanto, davanti o di lato – uno studio legale. E nessuno può negare al figlio di quell’uomo politico il diritto di esercitare la professione di avvocato come e dove vuole. Però ci sono i clienti – e lo sanno pure i bambini dell’asilo – che sempre più spesso si rivolgono a uno studio legale non solo per avere assistenza in un procedimento penale, in una causa civile o in una semplice vertenza; ma anche per ottenere un aggancio con la politica ed avere così la possibilità di avviare una serie di incontri con l’uomo di governo per proporre un’idea, per definire un progetto o per ottenere un finanziamento. Non a caso oggi gli studi che scalano le classifiche dei maggiori guadagni sono quelli che raggruppano, al proprio interno, i più esperti avvocati d’affari.

Attorno a Renato Schifani – restiamo comunque agganciati alle cose di Sicilia – ruotano addirittura tre studi legali. Oltre a quello che lui stesso ha fondato con Pinelli, e che ora vede operativo il figlio Roberto, c’è l’avviatissimo studio di Gaetano Armao, professore di diritto amministrativo e, soprattutto, braccio destro del presidente della Regione. I due sono molto legati. Hanno un’amicizia antica e un’intesa talmente forte da spingere Schifani non solo a chiamare Armao nel suo suo staff di esperti e consiglieri, ma a delegargli tanti e tali poteri che di fatto lo hanno elevato al grado di “vice presidente occulto della Regione”. Altro studio legale che ruota nell’orbita del governatore è quello di Massimo Punzi, cefaludese e marito di Simona Vicari, l’ex senatrice che è entrata a far parte, anche lei, del cerchio magico e che occupa a Palazzo d’Orleans non una stanza qualunque e neppure “la stanza della porta accanto”, come viene definita quella di Armao; ma addirittura l’ufficio, a dir poco spagnolesco, che, tra il 2008 e il 2012, fu il regno dell’ex presidente Raffaele Lombardo.

Ora immaginiamo – per gioco, si badi bene – che domani arrivi in Sicilia un imprenditore interessato ai termovalorizzatori di prossima fattura o all’acquisto di alcune quote di un aeroporto, come quello di Trapani, ormai vicino alla privatizzazione. E immaginiamo pure che il suddetto imprenditore, sulla scia di Aeroitalia o del sedicente rettore dell’università bosniaca, voglia trovare una corsia preferenziale per stabilire un contatto – solo un contatto, ci mancherebbe altro – con Palazzo d’Orleans. Bene. A quale dei tre studi legali gli converrebbe bussare? Lasciamo la domanda in sospeso. Il gioco, per quanto divertente, non può che finire qui.