Doveva essere l’allenatore. La guida indistruttibile di un governo unito sotto le insegne del centrodestra. Dopo i cinque anni di Musumeci, segnati da una lotta continua col parlamento e coi segretari di partito, sarebbe stato il minimo. Ma anche sotto il profilo della coesione politica, fin qui, Renato Schifani ha toppato. Al netto dei papocchi amministrativi, già enunciati nella scorsa puntata, ce n’è uno bello grosso che sta maturando: il rimpasto di governo. Rosario Crocetta, al netto delle sostituzioni premature di Franco Battiato e Antonino Zichichi (che facevano un’altra professione) attese un anno e mezzo per il primo “tagliando”. Schifani, invece, ne ha promesso uno all’indomani delle Amministrative in programma in 128 comuni siciliani – fra cui Catania – il 28 e 29 maggio. Quando saranno trascorsi poco più di sette mesi dal suo insediamento, e circa sei da quello dei suoi assessori.

Ma la situazione, ormai, è diventata ingestibile. Fra i principali capi d’imputazione, esternati da Fratelli d’Italia, c’è quello di non aver saputo gestire l’affaire Turano. L’assessore della Lega, alla faccia del centrodestra unito, non è riuscito a dirottare i propri voti sul candidato di FdI a Trapani, Maurizio Miceli. I suoi fedelissimi, infatti, pur conoscendo i rischi che avrebbe comportato una decisione così impopolare, hanno presentato una lista a supporto dell’uscente Giacomo Tranchida, di area Pd. Apriti cielo. Fratelli d’Italia ha chiesto a Schifani di sbarazzarsi di Turano, e lo stesso presidente della Regione, prima che si materializzasse l’appoggio al rivale, era stato fin troppo chiaro: “Non posso accettare in Giunta un assessore leader di una formazione del centrodestra che in una città capoluogo, Trapani, appoggia il candidato del centrosinistra”. Cosa che è puntualmente avvenuta. L’addio di Turano, che i bookmakers non quotano nemmeno più, rischia di alimentare le tensioni con la Lega, che in questa prima parte del percorso è stato un alleato fedelissimo del governatore (nonostante le scaramucce con Lombardo a Catania).

Il licenziamento di Turano è diventato un’occasione per analizzare a 360 gradi l’operato del governo. Per una verifica politica che, a dirla tutta, parta da basi lacunose. L’esecutivo, in questi pochi mesi, non ha fatto quasi nulla. E lo stesso Schifani, alfiere della continuità amministrativa e parlamentarista convinto, ha trascorso il tempo a inveire contro questo o quello. Gli è andata bene con Anas, nel senso che il governo nazionale s’è detto disponibile a sveltire i lavori lungo la Palermo-Catania offrendo supporto commissariale. Non gli è andata per niente bene con Ryanair: dopo aver presentato una denuncia all’Antitrust per denunciare il (presunto) cartello fra la compagnia irlandese e Ita sui voli per la Sicilia (a prezzi mostruosi), il governatore è stato sbeffeggiato da Eddy Wilson, numero 2 del vettore che garantisce un gran numero di collegamenti per l’Italia e l’Europa ai quattro scali siciliani: “È una polemica priva di basi, una favola – aveva detto Wilson qualche giorno fa -. Ryanair ha basato il suo successo, 180 milioni di passeggeri in Europa, con una politica di prezzi bassi. Queste accuse sono senza fondamento, è normale che ci siano periodi dell’anno più costosi, ma questo dipende dall’offerta”.

Non è tutto. Ryanair, dopo un litigio con la Sac, ha chiuso i rubinetti su Comiso, lasciando a piedi i passeggeri del Ragusano e di un’area molto più vasta, che si allunga fino ad Agrigento. E minaccia di fare lo stesso con l’aeroporto Fontanarossa di Catania: finora, infatti, non è stata caricata nessuna tratta relativa alla prossima stagione invernale. La strategia di Schifani s’è rivelata inesatta, e anche il tentativo di sopperire con l’introduzione di un terzo vettore (Aeroitalia) non potrà mai dare gli stessi frutti a livello di movimenti e traffico aereo. “Non c’era mai capitato di non riuscire a parlare con un governo regionale – lamenta Ryanair a Repubblica – abbiamo un piano di investimenti da 3 milioni di passeggeri in più. Senza risposte potremo dirottarli in Sardegna o alle Baleari”.

Il Turismo è un settore cruciale per lo sviluppo dell’Isola, anche se in questa prima parte della legislatura, e soprattutto nel corso della precedente, ha rappresentato un bancomat di dubbio gusto. Lo scandalo di Cannes, annacquato dal ritiro degli atti in autotutela disposto dal presidente della Regione (e asseverato dal Tar), si è concluso senza colpevoli. Ma con un paio di ferite ancora aperte: i toni scontrosi dell’ex assessore al ramo Manlio Messina, che hanno complicato notevolmente i rapporti fra Schifani e Fratelli d’Italia; e il boccone amaro di uno scambio di deleghe fra Scarpinato e Amata (il primo è finito ai Beni culturali), che Schifani avrebbe voluto evitare, magari sbarazzandosi – motu proprio – del maresciallo dell’esercito. Che invece è rimasto lì per volontà di un partito, FdI, che lo aveva già “imposto” al presidente nei giorni di formazione della giunta (assieme alla Pagana, moglie di Ruggero Razza).

Su Cannes e la mostra fotografica all’Hotel Majestic (saltata) andrebbero considerati gli eventuali profili penali, su cui stanno compiendo accertamenti la Procura di Palermo e quella della Corte dei Conti. Ma la questione rimane politica e tira in ballo la seconda vicenda: quella relativa ai fondi per la comunicazione (circa 25 milioni) che, grazie a SeeSicily, sono stati dirottati dal precedente governo (senza un’adeguata giustificazione) a gruppi editoriali che ne hanno lucidato l’immagine in prima serata nei talk e nei tg. L’iniziativa assunta da Schifani, cioè centralizzare le spese degli assessorati in materia di comunicazione, ha irrigidito ulteriormente Fratelli d’Italia. E l’assessore Elvira Amata, su suggerimento del suo mandatario politico, ha ribadito la necessità di prorogare la misura fino al 31 dicembre. Perché i numeri sono numeri e la Sicilia, dopo il Covid-19, ne sta facendo registrare di eloquenti (già, ma è finita la pandemia e la gente è tornata a viaggiare: o sarà tutto merito delle pubblicità sul Corsera o a Ballando con le Stelle?).

E’ come se l’atteggiamento di sfida della corrente turistica di FdI, abbia indotto Schifani a un movimentismo sfrenato – siamo alla campagna acquisti – che alla lunga finirà per logorarne la tenuta. Il nuovo ruolo del presidente della Regione, cioè quello di commissario in pectore di Forza Italia, impone un certo numero di adesioni che, man mano, si stanno concretizzando: il primo ad aggiungersi alla squadra è stato Giancarlo Cancelleri. Ma Forza Italia è un porto di mare, aperto ad ex renziani ed esponenti del Pd. Schifani, tramite il suo fedelissimo viceré Marcello Caruso, ha intrapreso quest’avventura per scalare posizioni nel cuore di Silvio Berlusconi. Ma ha finito per tralasciare l’azione amministrativa, cosa che ha parecchio infastidito i maggiorenti di FdI. Ma qui, chi lavora?

Caruso, fra l’altro, è stato designato assessore in prima battuta da Enrico Trantino a Catania. Un modo per placare gli appetiti dei leader locali, Falcone e D’Agostino su tutti. Al contempo, è commissario regionale di Forza Italia, ed è stato capo della segreteria di Schifani. Di cui è il naturale prolungamento. Ma questa figura una e trina, fin qui, non è servita a rassicurare un partito tuttora impreparato a cambiare direzione, ad accogliere grillini e giustizialisti, a sacrificare un pezzo della propria storia per il tornaconto personale del suo leader. In un certo qual senso dovrebbero esserci abituati: ma vuoi mettere il carisma del Cav. coi rancori e le vendette personali di Renato? Qui, con buona pace di Berlusconi, si rischia un super papocchio.