Dentro Forza Italia si trama. Schifani non vuole perdere il controllo della coalizione (in Sicilia), e per questo s’è inventato la formula del “dentro tutti” in vista delle prossime elezioni Europee. Ma non vorrebbe rinunciare neppure al ruolo di segretario nazionale del partito, anche se questo dovesse comportare un ripensamento repentino: mercoledì ha riunito le truppe a Palazzo d’Orleans – sede del governo e, ultimamente, dei berluscones – e ottenuto l’investitura dei “suoi” deputati a scendere in campo nel congresso in programma nel febbraio 2024. Contro Tajani. Lo stesso Tajani che qualche settimana fa il presidente accolse a Palermo, convincendolo della buona fede di Sac nella gestione dell’emergenza Fontanarossa (con tanto di comunicato a supporto dell’ad Nico Torrisi), ma soprattutto per prospettargli l’assunzione di 300-400 agenti del Corpo Forestale. Poi, in un’intervista sulla stampa nazionale, sostenne di non avere dubbi: “Voterò per lui”.

Ma in politica cambiare idea è un attimo. Specie quando l’Amministrazione non ti assorbe completamente. Schifani all’amministrazione è poco avvezzo e in questi mesi, resi turbolenti dalle crisi di cui sopra, è alla ricerca di argomenti che lo facciano riemergere dal torpore delle riforme non scritte e dalle emergenze non risolte. Che facciano dimenticare ai siciliani le mancate risposte su scandali e abusi (SeeSicily grida vendetta) o gli appuntamenti col parlamento a cui ha dato buca (l’Ars è in attesa che relazioni sugli incendi). Piuttosto, servono vetrine che evidenzino la sua caratura come uomo di Forza Italia, capace di includere e non di dividere, e di portare avanti gli insegnamenti di Berlusconi. Così è scattata l’ “operazione Narciso”: un tentativo costante di accreditamento sulla scena nazionale. Attraverso gli strumenti più in voga: contraddire la Meloni, come è avvenuto nella selezione dei profili per la Struttura commissariale per la depurazione; e sfidare Tajani. Apertamente.

I parlamentari siciliani, come appreso da Italpress al termine del vertice, avrebbero sollecitato Schifani a candidarsi alla guida nazionale del partito in occasione del congresso. La richiesta nascerebbe dal malessere di gran parte della deputazione sulla gestione Tajani, al quale si contesterebbe l’isolamento della Sicilia sulle scelte strategiche azzurre. In passato il governatore aveva affrontato questo tema, ribadendo che non si può andare avanti “con una classe dirigente del Nord e con i voti che vengono dal Sud”. Il presidente della Regione parlò di “uno strabismo che va corretto”, ma non fece breccia nel cuore del Ministro: “Ci sarà un ruolo per chiunque voglia lavorare”. La polemica sembrava rientrata, ma il clima da volemose bene è durato lo spazio di un caffè.

O meglio, di alcune nomine: “Nell’augurare buon lavoro ai coordinatori dei diversi Dipartimenti nazionali di Forza Italia appena nominati – ha detto polemicamente Marcello Caruso, coordinatore siciliano di FI -, non possiamo che rimanere perplessi di fronte alle scelte operate, con una grave carenza di rappresentanza della nostra regione, che rischia di tradursi in scarsa rappresentanza delle istanze siciliane, dall’insularità alle infrastrutture, dal lavoro allo sviluppo economico. La Sicilia – insiste – ha da sempre rappresentato per Forza Italia un luogo di forte radicamento nel territorio, di competenze amministrative e politiche, di grande consenso sociale e numerosi consensi” e “rappresenta ancora una volta uno dei luoghi in cui si misura la capacità di aggregazione del partito e la sua volontà di valorizzare competenza e rappresentanza. Anche per questo, ci auguriamo che una attenta valutazione venga fatta, rivedendo scelte che altrimenti rischiano di mortificare la rappresentanza e lo sforzo di crescita in atto da parte di tutto il gruppo dirigente siciliano”.

Roma, d’altronde, preferisce ignorare il gruppo siciliano del partito perché è un giocattolo nelle mani esclusive di Schifani. Il quale, manco a dirlo, è mantenuto da Fratelli d’Italia, flirta con Salvini e gioca solo per sé. A dargli manforte in questa opera di logorio, non solo di Tajani, ma anche della Meloni, è proprio il Ministro delle Infrastrutture. Che in queste ore, per volere di Giorgia, è rimasto fuori dalla cabina di regia sui migranti. A far scattare il piano d’emergenza sono state le nomine: quella sulla depurazione, con un leghista trombato a sorpresa, ha provocato la reazione scomposta del presidente della Regione, che chiedeva un coinvolgimento diretto sui nomi proposti da Fitto e Pichetto (quest’ultimo, del suo stesso partito). Salvini gli ha appena fatto un assist, nominandolo commissario della Palermo-Catania; col leader leghista i canali sono aperti e cordialissimi. Con la Meloni, che l’ha portato sullo scranno di Palazzo d’Orleans, invece no.

La crisi con FdI, in effetti, si staglia più su un orizzonte nazionale: su Sac la polemica ha investito il ministro Urso, l’unico a contestare apertamente la gestione dell’emergenza. Il governatore non ha mai digerito la nomina di due assessori non deputati in quota FdI (Pagana e Scarpinato); ha mandato giù il boccone amaro degli insulti di Messina e della frangia turistica meloniana dopo la vicenda di Cannes; e vorrebbe riconquistare centralità ai danni di chi perora la causa di Giorgia anche al governo. Tajani, fino alle dichiarazioni improvvide sugli extraprofitti delle banche, era stato un alleato fedelissimo. Ma anch’egli è alla ricerca di uno spazio e di un palcoscenico da cui imporre la propria personalità, di far capire a tutti che dopo Berlusconi tocca a lui. “Naturale che in vista delle Europee si valorizzino le differenze – ha detto Meloni per smarcarsi dai due partner più ingombranti, Salvini e appunto il capo della Farnesina -. Ma sono ottimista. Nel centrodestra siamo sempre stati capaci di fare sintesi su tutto. Nessuno metterà a repentaglio tutto questo per un punto percentuale alle Europee”. Sarà.

In questo scenario articolato e sdrucciolevole, Schifani si butta a pesce. Cerca di consolidare la sua posizione dall’interno di Forza Italia Sicilia, concedendo al proprio gruppo dell’Ars la primogeniture delle nomine per la sanità; avanza, per il tramite del Re Travicello, il mite Marcello Caruso, un vertice di coalizione per “coordinarsi in vista delle scadenze legislative dei prossimi mesi e delle iniziative promosse dal governo regionale sul piano normativo”; imposta uno schema di partito “inclusivo” e “plurale” in vista delle prossime elezioni Europee, ben sapendo che Cuffaro e Lombardo sono due alleati utili al raggiungimento dello scopo: tornare primo partito nell’Isola affermando un’idea di centro ed eleggere almeno un paio di parlamentari a Strasburgo.

Questo tentativo di fare il leader, o mostrarsi come tale, è ispirato da un calcolo scientifico ma ha basi poco solide. E’ il frutto di un’ammuina che ha consegnato la Sicilia all’irrilevanza e alla stagnazione. Una terra dove non esiste un’azione propulsiva di governo, tanto meno una spiegazione alle numerose falle che si sono aperte in questi mesi. Schifani non ha parlato di prevenzione, non ha ammesso gli errori, non ha rendicontato fino in fondo sulla spesa europea (il 31 dicembre si rischia la restituzione di un miliardo), ha sbattuto le porte in faccia al parlamento. Si è occupato di nomine – la prossima infornata sulla sanità determinerà importanti equilibri a livello di sottogoverno – ed elargito mance: dicono i ben informati che sia quasi pronta la prossima manovra di bilancio, anche se l’Ars era andata in ferie lasciando aperto uno spiraglio per un terzo collegato all’ultima Finanziaria (approvata lo scorso febbraio). Un’altra questione irrisolta è quella che riguarda le assunzioni e le prossime assunzioni (solo promesse da Giorgetti). Ci sarebbe un sacco di roba da fare. Ma vengono prima il congresso di FI, le elezioni Europee e quelle provinciali. E la grande illusione di diventare grande. Il più grande.