Reputo l’intervento dello Stato in economia la più grande disgrazia per l’uomo, peggiore anche della radiazione del Palermo negli anni 80. Il soggetto pubblico che gestisce servizi economici quali i trasporti, il servizio idrico, la rete del gas o i rifiuti mi ricorda sempre la storia della collettivizzazione delle perdite e della privatizzazione dei profitti, con i politici che sono sempre un po’ più uguali degli altri e riescono a ricavare rendite di posizione in termini di voti o di gestione del potere.

Anche Il Nobel Stiglitz, una bandiera da sventolare per chi pensa che il neoliberismo abbia causato anche il diluvio universale per vendere gli animali salvati a un prezzo maggiore perché unici, spiega che lo stato fa fatica a gestire imprese private perché ha una responsabilità fiduciaria nei confronti dei cittadini; ha il potere coercitivo su chi risiede nel suo territorio e chi vi nasce è automaticamente soggetto alle sue leggi senza alcuna possibilità di opzione e, per queste ragioni, lo stato si comporta un po’ come il genitore 1 e il genitore 2 (non se la prenda Salvini ma ormai mi ero affezionato ai numeri) con i lavoratori delle sue aziende. Dimentica così l’obiettivo del profitto, non licenzia mai per evitare problemi sociali e preferisce tenere in piedi aziende decotte per minimizzare l’impatto sui territori in termini di perdita di ricchezza. Se a questa disamina teorica aggiungiamo la proverbiale mancanza di serietà istituzionale dei politici locali, capirete che la mia mancanza di fiducia è giustificabile e mi vorrete bene anche quando penserete a me come un difensore dei più biechi capitalisti e robber barons.

Qualche giorno fa ho letto l’intervista dell’onorevole Michele Cimino, da poco nominato dal sindaco Orlando amministratore unico dell’Amat, la società che gestisce il trasporto pubblico a Palermo. So che l’on. Cimino è un avvocato e sebbene non creda che quello giuridico sia il miglior curriculum per fare il manager, ho letto con interesse e rispetto la sua intervista. Non vi ho trovato un manifesto churchilliano da lacrime e sangue, come mi sarei aspettato da chi prende in gestione un’azienda in chiara difficoltà come l’Amat, ma un continuo richiamo alla professionalità dei dipendenti e alle miracolanti imprese che attendono la ex municipalizzata a partire dalla visita del Papa. Non me ne voglia l’on. Cimino ma risanare l’Amat (senza neanche intaccare il costo del lavoro) mi pare impresa difficile anche per Marchionne e, sebbene resti scettico, gli auguro di smentirmi presto entrando nel firmamento dei manager accanto al leggendario Jack Welch della Ge.

Purtroppo resta forte il sospetto che abbia ottenuto questo incarico in virtù del curriculum politico più che di quello professionale. Ormai è infatti prassi consolidata che le aziende controllate dal soggetto pubblico siano considerate una sorta di agenzia di collocamento per ex politici che hanno perso lo scranno. Anche i compensi sono molto bassi se paragonati alle responsabilità e quindi si crea un terreno favorevole per incentivi perversi, connessi alla gestione del potere e del relativo bacino di potenziali elettori costituito dai dipendenti, che mal si conciliano con l’obiettivo del profitto.

Mi pare che ormai ci siamo assuefatti a questa situazione ed è diventato normale che sia così. Nessuno si stupisce più dell’utilizzo politico dei posti di comando nelle aziende pubbliche e molti di quelli con cui parlo mi guardano, alzano le braccia e mi dicono: “Non ti incazzare! va sempre così, che ci vuoi fare?”. Ora mi chiedo: quando abbiamo deciso che queste pratiche palesemente contrarie al senso comune e a secoli di letteratura economica siano normali? Quando ci siamo convinti che per fare bene il lavoro del manager basti avere fatto qualche legislatura in parlamento?

Io continuo a pensare che non sia giusto e, quando aumenterà il costo delle bollette o l’autobus continuerà ad arrivare in ritardo o i rifiuti sotto casa cominceranno a camminare da soli, pensateci anche voi e ricordatevi che, finché i politici continueranno a vedere nell’impresa una mucca da mungere, alla fine sarete sempre voi a pagare per il latte che non berrete.