Non ha trovato particolare diffusione, la notizia, risalente ad alcuni giorni fa, che Papa Francesco, attraverso padre Corrado Krajewski, suo elemosiniere, ha soccorso un gruppo di transessuali del litorale romano, ridotte alla fame e alla disperazione dal lockdown, che in questi mesi ha trattenuto in casa, devotamente accanto alle mogli, i loro abituali clienti. Eppure, in quel gesto di solidarietà umana è possibile leggere qualcosa di persino più radicale del già impegnativo date pauperibus.

Lo studioso francese René Girard, autore di monumentali studi sul capro espiatorio, ci ha insegnato che le comunità che non abbiano sufficientemente interiorizzato, o che per qualche ragione abbiano smarrito il senso autentico della rivelazione cristiana, in caso di crisi tendono a rinsaldare precariamente i propri legami sociali attraverso la violenza, fisica e simbolica, scaricata su individui o categorie di individui periferici, sacrificabili perché ancora non del tutto assimilati al gruppo prevalente. Il tutti contro uno, o contro pochi, domina la storia umana, un’infinita sequela di stragi e di persecuzioni che ripetono uno schema fisso. Depressioni economiche, disordini sociali, mutamenti politici, carestie, epidemie periodicamente minacciano l’esistenza stessa della comunità; quando questo accada, emergeranno forze che investono sulla paura e sul disordine, amplificandoli e trasformandoli in capitale politico; si fanno largo sinistri tribuni, che con la pretesa di rappresentare i sentimenti morali del popolo, additano i presunti colpevoli della crisi; i colpevoli appartengono a categorie umane neglette, marginali, isolate in alto o in basso: ebrei, stranieri non ancora assimilati, omosessuali, donne accusate di stregoneria, intellettuali.

Persino il re è una magnifica vittima sacrificale, la più ambita, perché la devozione dei sudditi fa presto a trasformarsi nel furore dell’orda parricida di cui scrive Freud in Totem e Tabù. Le figure dominanti delle fasi sacrificali sono lividi personaggi, privi di empatia, sociopatici per cui la vita umana non è un valore in sé ma uno strumento di affermazione di sé. Con discorsi e proclami ultimativi, alimentano il risentimento popolare, costruiscono l’illusione di un mondo ordinato e felice, purché si travolgano e si spazzino via le vittime designate: che paradiso terrestre sarebbe la Grande Germania, senza gli ebrei! Alimentare e orientare il disprezzo dei molti verso i pochi è il loro mestiere. I loro discorsi, in essenza, dicono che le vittime sono colpevoli e che la loro persecuzione è un atto dovuto, una misura di profilassi, di autodifesa sociale, l’espressione di un autentico patriottismo.

L’irruzione del Cristo nella storia del mondo ha rovesciato questa prospettiva, il suo olocausto rappresenta la più compiuta confutazione del paradigma sacrificale. Il Figlio dell’Uomo, che muore sulla croce per la salvezza di tutti, è il sommamente Giusto, chi lo accusa, chi lo inchioda, la folla che lo dileggia e ne esige il martirio, sono loro gli ingiusti, indelebilmente macchiati di sangue innocente.

Chi voglia capire la profonda insofferenza di alcuni uomini potenti del nostro tempo verso Papa Francesco, rilegga la pericope dell’adultera, il passo giovanneo in cui il Nazareno, con poche rivoluzionarie parole, scrivendo sulla sabbia, disarma i linciatori, smascherando la sostanza violenta e sacrificale della Legge, quando a ispirarne l’applicazione non sia lo spirito fraterno, ma la volontà di dominio e di esclusione. Da allora, ogni buon cristiano, che sappia, in coscienza, di essere peccatore, a nessun costo potrebbe lanciare la prima pietra; ma come la mettiamo con la seconda, quando a scagliare la prima ci abbia pensato l’uomo forte, l’uomo del destino? Tertium non datur, o si crede al Maestro, al Paraclito che consola e difende, o si appartiene alla schiera diabolica del divisore, dell’accusatore, che brandisce il dito e lo punta sulla nuda vita al centro della scena sacrificale. La pietra che stringiamo nel pugno, non inganniamoci, è sempre la prima.

Se letto da questa prospettiva, l’abbraccio fraterno del Papa alle trans di Tor Vaianica è un potente messaggio anti-sacrificale, un solenne vade retro opposto ai cacciatori professionali di vittime, eccitati dall’epidemia.