Il Recovery Plan non è l’ultimo (né l’unico) treno su cui salire per ricucire il gap col resto del Paese; tanto meno il blocco dei licenziamenti rappresenta la cura per contenere la pandemia sotto il profilo dell’occupazione. Esistono ricette meno estreme, forse un filo più pratiche. “Il Recovery è la cornice di un quadro ancora da dipingere – spiega Alfio Mannino, segretario regionale della Cgil -. Abbiamo diverse forme di finanziamento, come il Patto per il Sud e la programmazione europea: dobbiamo connetterle, evitando progetti doppioni”. Ma in Sicilia, negli ultimi mesi, sono stati bruciati 76 mila posti di lavoro “per lo più nel settore dei servizi, della ristorazione, del turismo, e in parte anche dell’agricoltura”. E’ quella la vera emergenza. “Siamo consapevoli – spiega Mannino – che il blocco dei licenziamenti non durerà in eterno. Per questo dobbiamo mettere in campo alcune riforme, su tutte quella degli ammortizzatori sociali, che coinvolgano il governo nazionale”.

Segretario, cosa potrebbe accadere dal 31 marzo con lo sblocco dei licenziamenti? Potrebbero restare per strada altre persone?

“Il crollo dei consumi e la paralisi dell’economia porterà le imprese, specie quelle dei settori più colpiti, ad avere le mani libere… Ma guardi che non stiamo parlando solo di albergatori o ristoratori. Qualche settimana fa Lukoil ci ha anticipato che inizierà a smaltire le ferie pregresse dei dipendenti, attingendo alla cassa integrazione. E se dopo il secondo bimestre del 2021 il consumo di carburante, anche per il trasporto aereo, non dovesse risollevarsi, provvederà ai primi licenziamenti. Non stiamo parlando di un’azienda qualunque, ma di un colosso della raffinazione”.

Complessivamente, quanti sono i posti a rischio?

“Trentatremila. Ma tenga conto anche di un’altra cosa…”

Cosa?

“In questi mesi non sono diminuiti solo i posti di lavoro, ma anche l’attività lavorativa. Se un albergo, in era pre-Covid, ti assumeva da maggio a ottobre, nel 2020 la stagione estiva è stata limitata da giugno a settembre. Quindi meno contratti di lavoro, con una durata inferiore”.

Esiste una ricetta per questo dramma?

“Sul piano sindacale, oltre a sostenere la proroga del blocco dei licenziamenti – esperimento unico in Europa, ma non possiamo limitarci solo a questo – puntiamo su una riforma organica degli ammortizzatori sociali, per dare tutela e garanzia a chi perde il posto. Inoltre, bisogna incidere sulle politiche attive del lavoro, e fare in modo che si acceleri sui fondi strutturali. Dal Recovery alla spesa regionale: ogni misura è utile per dare respiro alla nostra economia”.

Facile a dirsi, meno a farsi.

“Prenda il Superbonus al 110%: potrebbe favorire l’espansione dell’edilizia. Ma ciò presuppone celerità nelle procedure dei comuni per il rilascio delle autorizzazioni. Anche su questo serve un confronto istituzionale: bisogna capire come snellire i passaggi burocratici, come rafforzare gli uffici tecnici con assunzioni mirate. Non è una sola cosa, ma più cose messe insieme”.

A proposito di lungaggini. Nell’ultimo accordo Stato-Regione, il governo centrale ha espresso la necessità di smaltire la struttura amministrativa regionale.

“E’ giusto eliminare i rami secchi. Ma prima di tagliare sulla pubblica amministrazione, bisognerebbe rigenerarla”.

Come?

“Attraverso la stabilizzazione dei precari e l’ingresso di energie fresche, individuando le figure professionali che oggi mancano; e producendo un’accelerazione in termini di digitalizzazione e innovazione. Ma se il processo di rigenerazione parte dai tagli, dubito che otterremo l’effetto sperato. Rischiamo di azzoppare un processo di riforma prima di partorirlo”.

Quindi bisogna ribaltare la prospettiva, secondo lei.

“Io non so se abbiamo bisogno di spendere più o meno soldi. Ma serve, innanzi tutto, un progetto di pubblica amministrazione efficiente ed efficace, che permetta di drenare risorse da tutti i canali di finanziamento. E’ un investimento per il futuro. Cominciare a praticare tagli su una pubblica amministrazione allo sfascio, invece, farà venir meno gli stessi presupposti di questa operazione”.

C’è anche un’altra contraddizione: come fai a riqualificare il personale imponendo il blocco del turnover e delle assunzioni? Tantissimi dipendenti della Regione sono avanti con l’età e si affacciano all’età della pensione.

“Il tema non è il numero dei dipendenti. Bensì se rispondono, o meno, alle necessità odierne della pubblica amministrazione regionale. Quando parlo di forze fresche mi riferisco a ingegneri elettronici, geologi, etc…”.

C’è poi il capitolo degli sprechi. Crede che la Regione riuscirà a razionalizzare la spesa delle partecipate o a chiudere la liquidazione degli enti in dismissione? Da lì deriva una grossa fetta dei risparmi che Roma ci ha richiesto.

“La spesa improduttiva va immediatamente tagliata con una grande azione di coraggio. Non è più possibile alimentare operazioni clientelari o di tutela e sostegno del sottobosco politico. Non ce lo possiamo permettere. Bisogna valorizzare fino all’ultimo centesimo a disposizione e rigenerare la nostra spesa pubblica. Solo così si costruiscono le basi per il futuro”.

Torniamo al Recovery Fund. Secondo molti commentatori è l’ultimo treno per ricucire le differenze, o almeno iniziare a farlo, con le altre regioni.

“A parte l’individuazione di alcune opere, come la velocizzazione della ferrovia Catania-Messina-Palermo e l’ammodernamento dei porti, non sono previste misure specifiche per la Sicilia e il Mezzogiorno. Ma esistono degli spazi dove si può intervenire. Dipende tutto dalla capacità progettuale della Regione e dal sapere coniugare la possibilità che ci viene offerta dal Recovery con gli altri canali a nostra disposizione: il Patto per il Sud e la Programmazione comunitaria 2021-2027. Da queste tre misure potremmo drenare qualcosa come 30 miliardi di euro”.

Ci fa un esempio pratico?

“Nei fondi strutturali, spesso, sono presenti delle risorse per il contrasto al dissesto idrogeologico o per l’efficientamento energetico. Anche il Recovery Fund è tarato su questi due elementi, per cui cercherei di essere coerente rispetto alle linee strategiche individuate sia dall’Unione Europea che dal documento approvato dal governo nazionale, ed eviterei si presentare doppioni nella programmazione comunitaria. Non sono utili a nessuno”.

La Sicilia è ancora in attesa dell’erogazione di tantissimi aiuti previsti dall’ultima Finanziaria di guerra.

“A Musumeci è rimasto il colpo in canna. Ma ci sono anche ulteriori elementi di preoccupazione: ad esempio, dei 100 milioni che servivano per gli aiuti alimentari, ne abbiamo spesi 30. Oggi, però, si scopre che i comuni sono stati in grado di rendicontarne appena un terzo. Alla seconda tranche da 70 milioni, a causa delle pastoie burocratiche, rischiano di non attingervi nemmeno. Servirebbe un accordo fra Stato e Regione per semplificarne l’utilizzo. Al di là degli ammortizzatori sociali o del reddito d’emergenza, ci sono fette di popolazione che ancora non trovano copertura rispetto alla grossa condizione di disagio economico in cui versano”.