La Natività di Caravaggio fu rubata a Palermo nel 1969. Sono passati quasi cinquant’anni e se la ferita è ancora aperta di mezzo ci sono pure le responsabilità dei pentiti.

I pentiti che tutto sanno e tutto negano. Affermano e poi smentiscono, persino se stessi. Come ha fatto Francesco Marino Mannoia che a Giovanni Falcone disse che il dipinto era stato bruciato. Nel 2017 ha ammesso che era una balla. Era stato un modo per evitare le domande di quel giudice ostinato nel cercare la verità.

Il risultato è che le indagini hanno subito inevitabili contraccolpi. Oltre che Marino Mannoia del quadro trafugato nell’oratorio di San Lorenzo, nel rione Kalsa, hanno riferito Vincenzo Calcara, Giovanni Brusca, Vincenzo La Piana, Gaspare Spatuzza e Gaetano Grado. Esposto ai summit di mafia, nascosto dentro una cassa di ferro sottoterra, bruciato, mangiato dai topi, venduto integro o a pezzi: che fine ha fattola splendida tela?

Perché illudersi, d’altra parte, che le indagini sul furto della “Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi” fossero immuni dai guasti di una giustizia in balia del pentitismo? Solo uno fra i collaboratori di giustizia ha ragione. O forse nessuno.

In principio, dunque, fu Marino Mannoia a spiegare a Giovanni Falcone che non valeva la pena perdere tempo per cercare un quadro che non esisteva più. Bruciato e le ceneri disperse nel fiume Oreto. Com’era ricco di particolari il suo racconto. Un milanese era disposto a pagarlo, subito dopo il furto, cento milioni di lire. Si presentarono all’appuntamento “tuttavia – raccontava Mannoia – quando lo srotolammo per farlo visionare, appena illuminato l’ambiente per poterlo meglio guardare, il personaggio andò in escandescenza scoppiando in un pianto a dirotto. Ci diede degli assassini ed altri insulti, tant’è che visto il suo comportamento aggressivo, ma contestualmente pietoso, ci parve come un povero pazzo. In effetti il quadro appariva particolarmente danneggiato, in quanto squamato e mancavano dei pezzi”.

Nel 2017 i carabinieri tornano da Mannoia. Sono convinti, alla luce di altre indagini, che trentanni prima ha mentito. E lui lo ammette: “Non mi andava di andare avanti in tutte queste situazioni e cose… per cui io ho detto che il quadro è stato bruciato… andato distrutto… siccome ero stressato dalle situazioni… avevano ammazzato i miei familiari… con Falcone notte e giorno… non si stancava mai Falcone. Si è presentato un’altra personalità, un colonnello… e gli ho detto: l’ho bruciato io personalmente, per non essere più disturbato”. Chi mente una volta, può farlo altre mille. Perché credere a Mannoia?

Sempre nel 2017 nelle indagini è comparso un altro pentito: Gaetano Grado, killer di cento omicidi, che non ricorda neppure i nomi delle persone che ha ammazzato. Tre decenni di indagini hanno consentito agli investigatori di individuare in lui l’uomo giusto per avere notizie sulla “Natività”. Fu Gaetano Badalamenti, boss di Cinisi, mandante dell’omicidio di Peppino Impastato, la mente criminale dei traffici internazionali di droga, ricostruisce Grado, a chiedergli informazioni su “u Caravaggiu”. Detto, fatto. Grado tornò con le notizie sul dipinto, che era finito in mano a Stefano Bontade, il “principe di Villagrazia” che dominava sulla città prima che dalle montagne scendessero quei peri ‘ncritati dei corleonesi di Totò Riina. Organizzarono un incontro con un mercante svizzero: “In pratica questo vecchio gli dice: ‘Lo compro io, però sappiate che non si può vendere perché è di un valore inestimabile’. Gaetano Badalamenti dice: ‘E che te ne fai?’. ‘Lo divido’. ‘Ma come lo dividi?’. ‘Lo taglio. Dipende da quanti acquirenti trovo”.

Come scrive per il Foglio Riccardo Lo Verso, che è anche l’autore del libro “La tela dei boss” in cui si fa il punto sulle recenti indagini, la Procura di Palermo e i carabinieri del Nucleo tutela patrimonio artistico hanno riaperto il caso su input della Commissione parlamentare antimafia. Si è mosso anche il Vaticano. Perché sperare nel ritrovamento del dipinto? Perché si sta riportando la storia alla sua essenza, spogliandola del mito e provando ad andare oltre le sole parole dei collaboratori di giustizia. È su un furto che si sta innanzitutto indagando.