Metti una sera a teatro con Beppe Fiorello e Domenico Modugno. Con assaggi di Saro e i racconti di Nicola, il papà. Amarcord, musica, risate, spizzichi e bocconi di dileggio. Ma soprattutto vissuto, memoria, emozioni. E ancora: salti, gioia, lacrime, temi di lancinante attualità (come l’Ilva). E infine una dedica al maestro, “che solo a Catania potevo fare”. “Un giorno passeggiavo per la spiaggia di Donnalucata e mi accorsi di lui. Volevo fermarlo, mi preparai un discorso… ma niente. Dissi “andiamo e improvvisiamo”. Lo chiamai: “Maestro”. Lui si girò, mi riconobbe per primo e mi rispose: “Ciao Beppe, come stai?”. L’incontro con Battiato e il suo racconto, un fuoriprogramma mirabile, riempiono le mani del Metropolitan di Catania, che per la seconda sera di fila si gusta “Penso che un sogno così…”, lo spettacolo che il minore dei fratelli Fiorello dedica a quel genio di Mimmo Modugno, a cui un produttore musicale, un tempo, disse di sembrare siciliano – e non pugliese com’era realmente – perché “il siciliano tira di più. Se diventi siciliano ti porto in Francia”.

Uno show nello show, in cui Beppe ripercorre le tappe della sua vita da “picciriddu”. Interpreta papà Nicola e se stesso. Una doppia dimensione che incardina la serata. Ma a guidare tutto per mano è la musica di Modugno: “Il primo 45 giri lo ricevetti da picciriddu – e quando sennò – da un lupinaru. Un vicino che, tutti dicevano, si trasformasse di notte in lupo mannaro. Un giorno mi chiese di seguirlo in casa per accompagnargli la spesa. Ero terrorizzato ma andai”. Il premio finale al coraggio fu un 45 giri con incise le canzoni di Domenico Modugno. Quello che il padre cantava ogni estate, mentre in macchina la famiglia al completo – compreso Beppe, il bambino timido che non parlava mai con nessuno – si dirigeva da Augusta a Letojanni, per trascorrere una “misata” di vacanza a casa della nonna.

E’ un viaggio a ritroso nel suo passato. E in quello della sua famiglia. I ricordi vividi di Beppe si intrecciano a quelli del padre, della madre, dei suoi tre fratelli. Saro, il più grande, “quand’era nato era già pronto per la tv”. Poi alcuni flash che ti fanno esplodere il riso da dentro: quello della zia che spadella cicoria a ogni ora del giorno, quello di Joe Conforte, che si presentava ad Augusta ogni anno dall’America per le celebrazioni di San Giuseppe, il santo patriarca, e si aggiudicava il suo bastone di torrone (alto tre metri) all’asta. Alle gag segue la musica. La rappresentazione mimica e le braccia sempre larghe di Modugno. E quelle chicche che di lui in pochi conoscono: “Litigava sempre con l’amico che gli scriveva i testi. In “Volare” volle usare a tutti i costi la parola “trapunto” (… ma io continuo a sognare / negl’occhi tuoi belli / che sono blu come un cielo / trapunto di stelle) e ci riuscì”. Fino al momento finale, in cui si reca a casa della signora Franca – Modugno ovviamente – per chiederle cosa pensasse del fatto che lui, Beppe, avrebbe potuto interpretare il marito in una serie tv: “Mi chiese di provare la giacca color carta di zucchero che Mimmo indossò a Sanremo nel 1959”.

Una presenza scenica travolgente, non un momento di pausa, non uno sbadiglio. Non una taliatina all’orologio per vedere che ore fossero. Più andavi avanti più temevi che quel superbo spettacolo, con la regia di Giampiero Solari, potesse terminare. Insieme a Fiorello, due enormi musicisti con la chitarra in mano: Daniele Bonaviri e Fabrizio Palma. Da questa sera fino a sabato, con l’impeccabile organizzazione di Terzo Millennio e di Andrea Peria, si replica al Teatro Golden di Palermo. Una tournée lunga quattro anni, che non smette mai di esaltare.