Sembra facile cazzeggiare sul palcoscenico in uno show “a due piazze”. Sembra facile passare dalla parodia dei due Papi – l’argentino in carica e il tedesco emerito, come fossero Sandra e Raimondo – agli standard dei crooner americani, dal numero del “rumorista” a quello dell’amarcord del vecchio, buon teatro d’autore e di regia dove entrambi sono nati e che hanno per lungo tempo bazzicato. Sembra facile farlo con la levità di due amici di vecchia data, 71enne l’uno e alle soglie dei 67 l’altro, in vena di giovanile goliardia che si ritrovano dopo tre lustri, durante i quali ognuno ha preso una sua strada, a sentire ogni sera, da un camerino vicino all’altro, il “chi è di scena”.

L’inizio è noto e ha assicurato a Tullio Solenghi e a Massimo Lopez (in cartellone fino al 1 dicembre al Teatro Al Massimo) una certificazione di “virtuosi” che ormai è rarità. E l’inizio si chiama Stabile di Genova, tra gli anni ’60 e ’70 meravigliosa palestra di attori e registi sotto l’occhio vigile e severo di quel mago del teatro immaginato, pensato e prodotto che rispondeva al nome di Ivo Chiesa. Nobili lombi artistici, dunque, come quelli che ha avuto anche Anna Marchesini (alla “Silvio D’Amico”, lei) che per anni è stata la loro compagna-amica-sorella in quel Trio che spopolò in tv e sulla scena.

Solenghi da Genova e Lopez da Ascoli. Fanno anche qualche spettacolo insieme, all’ombra della Lanterna, lo stesso regista nei due rispettivi debutti (lo Squarzina di «Madre Courage» e de «Il fu Mattia Pascal») ma poi verranno Costa, Ronconi, Cecchi. Niente male, come esordi. Però c’è quello spirito un po’ furfante, quella voglia di empatia immediata, quell’estro comico (una comicità moderna, ritmo sincopato, profluvio di nonsense) che dopo poche stagioni – seconda metà anni ’70 – li faranno virare verso il varietà televisivo e radiofonico.

La storia più famosa è quella del Trio, dell’incontro con Anna Marchesini agli inizi degli anni ’80, un sodalizio d’arte e di vita che durerà oltre un quindicennio: una popolarità clamorosa. Saranno i Sanremo, le «Domenica in», i «Fantastico», con le parodie sia della televisione stessa e dei suoi personaggi di culto che della società e delle sue figurette, ma anche della politica nostrana e internazionale (spesso caricature temerarie: quella dell’ayatollah Khomeyni, ad esempio, che farà squillare per giorni i telefoni tra l’ambasciata iraniana e il settimo piano Rai a viale Mazzini, o quella, anch’essa non sempre graditissima, dei reali inglesi). Sarà la grande avventura a puntate dell’irridente rilettura dei «Promessi sposi». Saranno gli spettacoli teatrali, con teniture e tournée lunghissime e platee stracolme (e un pubblico che ripete come un mantra per mesi le battute più fulminanti). Il tutto saldamente fondato su un bagaglio d’esperienze sceniche che proprio perché maturate nella tradizione rivoltano questa come un guanto, ne canzonano la rigidità delle regole, ne stravolgono la forma, ne rivisitano formule e contenuti.

Come finisce si sa, ognuno poi va per la propria strada. Che tra scrittura personale, nuovi copioni e registi ed intrattenimento, torna a identificarsi sempre tra un proscenio e una platea. La malattia della Marchesini, il ritorno in tv per celebrare i venticinque anni dalla fondazione del Trio (quasi un prima che sia troppo tardi con quel tardi che arriva con la morte dell’attrice pochi anni dopo), la complessa elaborazione di quel lutto, ancora esperienze individuali e, da due stagioni, la “reunion”, in duo.

Il «Massimo Lopez e Tullio Solenghi Show» è il compendio di queste due storie (e in parte tre: Anna viene ricordata sera per sera con un applauso pari alla nostalgia che il pubblico prova per lei), senza pensieri grigi però, senza quelle ubbie che si depositano inevitabilmente sul fondo degli amarcord e laddove il rimpianto affiora, com’è fisiologico in un’età di bilanci, viene subito gentilmente accompagnato alla porta semmai dovesse tracimare. Resta la ribalda voglia di divertirsi di due ex ragazzi che si intestardirono a giocare il gioco più serio del mondo, mezzo secolo fa, tra un carruggio e una focaccia di Recco.