Sono in 2.500 ma c’è posto soltanto per una sessantina. Al massimo un centinaio. La ricognizione della Regione è finita, ma le buone notizie – come sempre sul fronte del precariato – stentano ad arrivare. La vicenda è quella che riguarda gli ex Pip, un bacino di lavoratori ai quali, nell’ottobre scorso, era stato promesso il ricollocamento nelle partecipate regionali e un contratto di lavoro a tempo indeterminato dopo vent’anni di precariato. Merito di una norma inserita dal governo Musumeci in una variazione di Bilancio, che Palazzo Chigi (a differenza del passato) aveva scelto miracolosamente di non impugnare. “Ora si è chiuso il cerchio e oltre 2.500 famiglie potranno contare su un reddito certo” si sbilanciò Vincenzo Figuccia, deputato della Lega e fra i parlamentari più attenti alla causa dei lavoratori.

Invece dovranno attendere ancora. Per fare in modo che gli ex Pip, figli del progetto “Emergenza Palermo”, siano assorbiti dalle partecipate regionali, è necessario che qualcuno vada in pensione. A metà gennaio Schifani e Falcone annunciarono l’avvio di una ricognizione “per verificare eventuali vuoti di organico che possano essere colmati attingendo da questi precari. A seconda delle richieste che arriveranno dagli enti – dissero il governatore e l’assessore all’Economia, nonché vigilantes sui carrozzoni regionali -, potremo riuscire, in una prima fase, a ridurre intanto il numero di precari ancora nel bacino”. Ma nel frattempo si pararono le spalle: “A Roma tratteremo per il superamento dei tetti di spesa previsti dall’accordo Stato-Regione, un vincolo tuttora vigente che ci limita. Il governo regionale sta già facendo tutto quanto è nelle proprie immediate possibilità per risolvere questa decennale pagina di precariato e non cesseremo di interloquire con il governo nazionale fino a quando non si troverà una soluzione definitiva e sostenibile che restituisca dignità professionale a tutti questi lavoratori”.

Le rilevazioni di questi giorni non hanno dato buon esito: i posti vacanti potrebbero essere al massimo un centinaio. La stragrande maggioranza dei Pip rimarrà a guardare. Ma è in arrivo un contentino: ovvero “un aumento dell’assegno di sostegno al reddito” previsto da una norma inserita nella manovra finanziaria in discussione all’Ars. Lo stanziamento sfiora i 5 milioni di euro, che tradotto in soldoni significa fino a un massimo di 120 euro in più in busta paga. Tiepida consolazione. Nel frattempo i sindacati stanno cercando di capire come avverrà la scelta dei cento fortunati che potranno godere di un contratto di lavoro stabile, mentre l’assessore Falcone rassicura tutti gli altri spiegando che si tratta solo dell’inizio di un percorso.

A proposito di “aiutini”. La Finanziaria ne prevede altri per la galassia dei precari. In primis gli Asu, che per certi versi sono addirittura più “sfigati” dei Pip. La loro stabilizzazione i politici siciliani l’avevano celebrata nel 2021, con l’approvazione della Finanziaria. “Finisce una pagina di precariato durata 25 anni”, fu l’esultanza bipartisan. Ma non se ne fece nulla: ancora una volta la scure romana si abbatté sugli annunci del governo Musumeci&Armao, impugnando l’articolo 36 della Legge di Stabilità. Per un attimo la Regione pensò di opporre resistenza, trascinando la questione di fronte alla Corte Costituzionale. Poi provò ad agganciarsi al treno del buonsenso – per il tramite dell’ex assessore al Lavoro, Antonio Scavone – ma dal Ministero non si aprirono spiragli. A dicembre scorso un piccolo sussulto, quando vennero sbloccati pagamenti delle ore di straordinario riferite all’ultimo trimestre: “I lavoratori Asu – disse subito Schifani approfittando del momento – meritano tutta l’attenzione possibile perché da anni, in condizioni di precarietà, svolgono un ruolo fondamentale per il funzionamento degli uffici presso cui prestano servizio. Il nostro impegno sarà sempre quello di rispettare il loro lavoro. Inoltre, approfondiremo la vertenza che li riguarda per provare a trovare una soluzione legislativa e amministrativa che sia sostenibile”.

A distanza di un paio di mesi l’unica soluzione-tampone è l’aumento del monte orario previsto dalla Finanziaria. La maggioranza, inizialmente, aveva pensato di portare a 36 ore settimanali i precari del dipartimento Beni culturali, allo scopo di garantire l’apertura e la vigilanza all’interno dei parchi e dei musei. L’ex sindaco di Messina Cateno De Luca, invece, s’è impegnato per garantire un aumento (di ore, e quindi anche di stipendio) a tutti quelli che lavorano negli enti locali. Il parlamento, per il 2023, sborserà a meno di sorprese dell’ultima ora 17,5 milioni. “Nell’attesa che si sblocchino le procedure di stabilizzazione – aveva detto il leader di Sud chiama Nord, prendendosi il merito – abbiamo evitato la disparità di trattamento prevista dall’articolo 6 della Legge di Stabilità che riservava solo agli Asu del dipartimento regionale dei Beni culturali. In questi anni gli Asu hanno pagato il prezzo del disinteresse da parte della politica nel trovare risposte concrete tese a definire una volta per tutte la loro posizione di precari storici”.

Un adeguamento al contratto nazionale di lavoro sarà garantito anche ai Forestali: la Finanziaria prevede un intervento da 22,5 milioni per il 2023 e 14,5 milioni per il 2024 e 2025. Secondo il vicepresidente della Regione e assessore all’Agricoltura, Luca Sammartino, si tratta di “una misura che restituisce dignità a questi lavoratori” e di “un primo segnale importante del nuovo corso del governo Schifani. L’attenzione da parte mia è massima”. Sammartino conoscerà bene la vicenda degli operai Forestali – una platea di 17 mila persone – e le richieste inevase di una riforma che li riguardi (richiesta anche da Roma). L’aveva promessa il precedente governo, con Musumeci in plancia di comando e l’assessore Scilla braccio operativo. La proposta, approvata dalla giunta, tendeva a ridurre da tre a due le fasce dei lavoratori stagionali, ad aumentare il numero delle giornate lavorative e a valorizzare e riordinare le attività e le competenze. Per “un impiego più razionale ed efficace dei lavoratori forestali, senza demagogia e senza vendere illusioni”, disse Musumeci. Scilla si era già portato avanti: “L’obiettivo finale sarà quello di garantire ai lavoratori forestali 180 giornate lavorative”. Peccato che in parlamento la proposta non sia mai arrivata.