Sembra che il mondo intero non riesca a fermare la follia di un solo uomo. Il motivo è semplice: la follia è la più contagiosa tra le pandemie e nessun vaccino è mai stato creato per contrastarla.

Spesso chiedevo ai tedeschi di vecchia generazione il perché di Hitler e del Nazismo che avevano distrutto il destino di una intera umanità. Ne ricevevo quasi sempre la stessa risposta. Alla follia dell’uomo che esalta il delirio di onnipotenza di un popolo, risponde quest’ultimo con la sua cecità. La cieca e silenziosa obbedienza – unita alla colpevole indifferenza di coloro che ciechi non sono – crea le stragi della Storia e quelle cui assistiamo in questi dolorosi giorni.

La saggezza degli antichi aveva pure coniato un pensiero che sembra scolpito sulla bandiera dell’esercito invasore: “Quem vult perdere Deus prius dementat”. L’impossibilità di vedere se stessi e il senso della propria dimensione umana generano il presupposto della follia e della morte (che è solo sconfitta della vita). L’umanità impazzisce in blocco e rinsavisce – purtroppo – singolarmente e dopo un lento, ma assai doloroso, risveglio della coscienza. Il tempo di latenza nel rinsavimento permette di salvare le vite degli innocenti.

Cosa, però, può aiutare ad illuminare la mente di un uomo che ha già deciso una guerra sanguinosa e minaccia di annientare il mondo?

Non posso avere la presunzione di arrivare al di là delle mura del Cremlino. So bene che la mia voce ha la flebile forza di un soffio rivolto alla fredda tormenta della tempesta siberiana. La mia è un’ombra di vento – come avrebbe detto il compianto scrittore spagnolo Carlos Ruiz Zafon. Ma, se per incanto o per magia – d’un tratto – avessi il suono dei miei pensieri vicino a quello del dittatore saprei cosa ricordargli.

Gli parlerei del poeta Rainer Maria Rilke e della intuizione che mutò, per sempre, la sua vita. Correva l’anno 1902 e due feroci guerre mondiali dovevano ancora seguirsi. Raccontano si trovasse al Louvre, invitato dallo scultore Auguste Rodin. Giunto davanti alla statua dell’Apollo di Mileto (un torso marmoreo privo di testa e di braccia, ma di infinita potenza artistica) il poeta si annullò. Comprese che nella bellezza del mondo è la sola possibile felicità.

Ne nacque il verso che oggi sussurro ai pensieri dello Zar della Russia: “Perché là non c’è punto che non veda te, la tua vita. Tu devi mutarla.”