Dalle indagini su presunte raccomandazioni per far partecipare un gruppo di ragazzini alla commemorazione ufficiale della strage Falcone, tramite la stessa fondazione, vengono fuori due spunti che ci danno un’idea dello stato di salute dell’antimafia militante. Da un lato l’obiettiva vaporosità di un’indagine sull’inclusione di una scuola nelle manifestazioni per l’anniversario di Capaci. Magari ci sarà dietro un “disegno criminale” di chissà quale livello, ma al momento è davvero difficile gridare allo scandalo. E’ vero che la procura di Caltanissetta ha le mani su un’inchiesta complicata che rimanda, in modo più che evocativo, al buio passato delle talpe, ma forse puntare all’effetto non è la strategia migliore coi tempi che corrono. Dall’altro siamo dinanzi a più di un segnale che ci dice di smetterla con la prudenza quando ci si trova dinanzi agli altari dell’antimafia ottriata. Il protagonismo ammazza persino la migliore delle intenzioni e forse è il caso di ripensare, laicamente senza fare sconti a nessuno, il sistema delle santissime celebrazioni dell’anniversario della strage Falcone. Perché siamo arrivati a un punto in cui la vanità è l’art director di manifestazioni in cui si evidenzia sempre più – grottesco – il divario tra vittime di serie A e vittime di serie B, tra carrieristi e portafascicoli, tra politicanti in cerca di uno strapuntino e ingenui portatori d’acqua.