C’è gente – come me, lo ammetto subito – che ha paura del “per sempre”. O anche solo di fare programmi a lunga scadenza, da un viaggio all’appuntamento dall’estetista sono sempre “last minute”. O l’idea di comprare una casa, che accarezzo da tempo, subisce pesanti rallentamenti quando penso al mutuo, a rate per quindici anni o più, a questo impegno indifferibile mese dopo mese.
Stessa sensazione davanti ai tatuaggi. Ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto farne uno. Piccolo, sobrio. Una minuscola stella marina, sulla caviglia o su un polso. Ma poi l’idea di questo simbolo incancellabile (anche se oggi anche quelli vanno via con una botta di laser, o quasi) mi ha spaventata. Perché rivendico il diritto di essere volubile, di cambiare idea.
Figuriamoci poi chi si fa tatuare il nome del fidanzato (o della fidanzata). Penso sempre a quante Monica, Serena o Noemi vanno in giro su spalle e bicipiti che non vedono più da anni. Quanti Luca e Giorgio restano scolpiti, indelebili, su una scapola che non accarezzano più. E lo trovo triste, tristissimo.
Poi oggi ho letto la storia di Antonino che, a settant’anni, si è fatto tatuare il nome della sua Lucia, morta da dieci, su un braccio. Ho pensato che forse a settant’anni anch’io potrei superare la paura del per sempre, visto che a quel punto sarebbe un per sempre – per forza di cose – meno lungo, meno ostinato. Che magari ci sono per sempre con un orizzonte più accettabile, ecco. O forse, più semplicemente, ci sono amori più grandi, più forti, che hanno superato ben altri ostacoli e del per sempre si fanno beffa.