Cateno De Luca è in grande spolvero. E’ l’unico, forse, a non aver mai smesso di fare politica: contro il governo Schifani, per affermare le ragioni di un movimento nato (quasi) dal nulla e oggi, addirittura, per ricreare una coalizione che sia in grado di aspirare al governo. “Perché io non campo per fare opposizione, come qualcuno che in questo modo si sente legittimato a dire stronzate a vita”, dice il profeta. Ogni tanto sarà pure dissacrante, volgare, a tratti “inciucista” come i suoi colleghi (ricordate l’astensione di Sud chiama Nord, all’Ars, sull’emendamento – proposto da lui medesimo – per stoppare gli adeguamenti Istat?). Ma è richiestissimo, a tratti venerato. Non solo da parte del suo elettorato, che somiglia per larghi tratti a quello che aveva chiesto il miracolo ai Cinque Stelle; ma anche da alcuni partiti – vedi il Pd – che non gli ha mai risparmiato critiche: per il carattere spigoloso, per l’indole da macho, per la lingua biforcuta. Una volta Antonello Cracolici disse di lui che “sa fare solo il clown”, oggi posano assieme per le foto ricordo prima di andare in aula.

Non solo: è il Pd, tranne quello elitario di Messina (sempre più arroccato su questioni locali), a chiedergli di candidarsi. Alla Regione. Lo vorrebbero alla guida di un’alleanza con dentro la sinistra e i grillini, nonostante i suoi trascorsi col centrodestra; lo vorrebbero alla guida di una Regione che De Luca ha rischiato di prendersi un anno e mezzo fa, quando tentò la clamorosa rimonta sul centrodestra più litigioso che si ricordi. Nelle ultime settimane prima del voto, instillò la suggestione che ci sarebbe riuscito (e prese comunque mezzo milione di voti, da solo).

Cateno però è fortemente ancorato alla realtà. Sindaco di Taormina, capo dell’opposizione a Palazzo dei Normanni, persino diplomatico incallito. E’ lui ad aprire o chiudere le porte, com’è avvenuto con Matteo Renzi dopo che l’ex premier gli soffiò la senatrice Dafne Musolino, fatta eleggere con grande sacrificio. Il 2% ottenuto alle Suppletive di Monza e Brianza non l’ha penalizzato, ma è servito a portarlo alla ribalta. E pure Calenda, il classico politico con la puzza sotto il naso (e per questo sempre più solo), sta ragionando se farci un accordo o meno per le Europee. Se c’è una cosa che però difetta in De Luca è la pazienza: “Abbiamo concordato di definire tutto entro il 31 gennaio e nel frattempo sono rimasto in religioso silenzio anche rispetto ad alcune “sfumature” che riguardano il rapporto tra Sud chiama Nord ed Azione. Adesso bisogna capire se c’è la reale volontà di chiudere un accordo”.

Comincia ad ardere Cateno, perché lui non ha alcuna voglia di rimanere fuori dai giochi. Vuole “eleggere un europarlamentare nel collegio delle Isole, così da completare la nostra deputazione a tutti i livelli istituzionali. Abbiamo il dovere di provarci”. Per questo si è tenuto aperto altre porte, diventati portoni. In primis quello del Pd. “C’è in corso una interlocuzione per ospitare un nostro candidato europeo nella loro lista” ha detto De Luca, ammettendo che “non abbiamo fatto lo stesso discorso con gli amici dei 5 Stelle. Se dovesse arrivare da Giuseppe Conte un’apertura su tale ipotesi allora ne parleremo”. In casa dem, dove a fare le liste non sono mai stati troppo bravi (prima delle ultime Politiche esplose il caso dei “paracadutati”, che portò ad alcune rinunce eccellenti: vedi Cracolici al Senato), ci stanno pensando sul serio. Tanti progressisti danno per fatta l’alleanza in vista delle prossime Regionali, con Cateno alla guida di una coalizione tanto caotica quanto insidiosa (per gli avversari). Sarà, o sarebbe, l’unico modo per riprendersi una porzione di elettorato che, nelle ultime uscite, ha seguito le tendenze più estreme: i grillini prima, la Meloni poi.

Ma Cateno era e resta un riferimento anche per l’attività parlamentare. Si è messo a trattare sulle singole voci inserite in Finanziaria, adeguandosi al metodo e agli interpreti (consolidando i rapporti istituzionali col presidente dell’Ars Galvagno e con l’assessore all’Economia Falcone); è riuscito a ottenere qualcosa per sé e per i suoi “amici”, l’unico modo utile per non ridursi a opposizione sterile e sdentata. Ma non ha smesso per un minuto, neppure in questa fase di stanca, di fare le pulci a un governo che pensava di averlo “comprato” con qualche mancetta (vedere dichiarazioni del capogruppo di FI, Stefano Pellegrino), e invece viene continuamente sferzato dal suo peggior incubo. “Leggere la relazione di un anno di attività del Governo Schifani è imbarazzante – ha detto ieri il leader di Sud chiama Nord – Schifani racconta una Sicilia che non esiste, presentando un report fake”. E si sofferma su alcune voci, vedi l’imbarazzante sanità o lo scippo dei fondi europei: “Peccato che i siciliani – evidenzia, affrontando il tema delle liste d’attesa che sarebbero state abbattute del 90 per cento – vivano un’altra realtà e debbano fare i conti non soltanto con le liste d’attesa ma anche con ospedali depotenziati e servizi carenti o assenti in alcuni casi.  Mio padre per esempio aspetta da aprile 2023 l’assegnazione del logopedista per fare terapia riabilitativa e ancora aspettiamo!”.

Mentre definisce “minchiate” quelle contenute nell’Accordo Stato-Regione, in cui “si parla dell’abbattimento della compartecipazione della Regione siciliana alla spesa sanitaria che libera risorse” ma non si fa “riferimento alla trattativa privata che ha fatto con Salvini per finanziare il ponte sullo Stretto di Messina. Come mai? Presidente Schifani non sei orgoglioso di aver sottratto ai siciliani quasi 2 miliardi di euro dal fondo sviluppo e coesione?”. Ed eccolo Pellegrino, a peggiorare una situazione di per sé imbarazzante. A rendere insopportabile il carico di una conferenza stampa autoassolutoria, ma soprattutto illusoria: “Avevamo sperato dopo la finanziaria che l’opposizione, che in quell’occasione ha mostrato di saper fare scelte e tenere posizioni responsabili, avesse optato per il lavoro per il bene comune oltre le differenze e gli steccati di partito. Ma non possiamo che prendere atto del fatto che già a pochi giorni di distanza l’onorevole Cateno De Luca è tornato al suo vecchio stile, che però, come ormai dovrebbe aver imparato, non è quello che i siciliani vogliono né, tanto meno, premiano nelle urne”.

Il capogruppo di FI all’Ars, nella sua nota da avvocato d’ufficio, aveva preso le parti di Falcone e di Schifani: “Ci fa piacere che Pellegrino apprezzi il lavoro svolto all’assessore Falcone – è stata la replica di De Luca -.  Noi per primi abbiamo dato atto a Falcone del lavoro svolto designandolo già come ragioniere del prossimo Governo regionale targato De Luca. Ciò che invece ci stupisce è il silenzio che ha contraddistinto tutta l’attuale maggioranza, compreso Pellegrino, nel momento in cui a giugno scorso Schifani ha tolto le deleghe sulla Programmazione dei fondi extraregionali e Pnrr avocandole a sé e di fatto declassando Falcone a semplice ragioniere di sottoscala”. E ancora: “Il fatto che nel report presentato da Schifani manchi la parte consistente sull’accordo Stato-Regione per finanziare il Ponte sullo stretto di Messina, non fa che confermare i dubbi e le perplessità espresse fino ad oggi: Schifani ha portato avanti una trattativa privata con Salvini a danno dei siciliani. Se vuole ci smentisca. Dal canto suo Pellegrino piuttosto che continuare a fare il “Pellegrino”, se proprio insiste potrà accompagnare Schifani e fare da moderatore nel confronto con il sottoscritto”.

Ma a nessun confronto pubblico, fin qui, il capo del governo ha scelto di partecipare. Nemmeno di fronte all’aula di Sala d’Ercole, che prima di approvare la Finanziaria, ne avrebbe voluto discutere insieme al presidente della Regione. Il presidente s’è sottratto, rivelandosi un “ologramma” (cit. Scateno). L’operato del suo esecutivo, d’altronde, continua ad essere il miglior sponsor per una carriera in rampa di lancio. La carriera dell’uomo venuto da Fiumedinisi e disposto a tutto, persino alle alleanze più improbabili, per prendersi lo scettro di sindaco di Sicilia.