L’ha rifatto. Ovviamente appartiene alla sua cultura, al suo modo di pensare. In una perversa eugenetica retorica, per Marco Travaglio la diversità fisica e/o mentale diventa sinonimo di insulto, anzi insulto tout court.

Nell’editoriale del 23 marzo sul suo “Fatto Quotidiano” invitava il suo detestato Sallusti a trarre dalla sua analisi “le conclusioni che trarrebbe anche un bambino ritardato”. Come dire l’ultimo gradino del genere umano.

L’ha rifatto. Nel 2017 – come ha ricordato Gianluca Nicoletti sul sito “Per noi autistici” – aveva posto alla base della catena dell’evoluzione umana i mongoloidi. “Andate pure avanti a trattarli come mongoloidi” aveva detto dalla Gruber discutendo di politica e di politici.

In realtà lo fa da sempre. Stavolta i “bambini ritardati”, ieri i “mongoloidi”, innumerevoli volte il “nano” Brunetta, (per tacere delle battute sessiste da angiporto dedicate alle donne a lui politicamente sgradite: citofonare Boschi-Gelmini-Bellanova per chiarimenti).

Lui, il maggiorato mentale, il perfetto, indulge in grevi sarcasmi sulle persone “difettose”, paradigmi di impurità, sinonimi di errore genetico, di deviazione dalla specie pura, e meritevoli quindi d’esser usati come manganelli contro gli avversari sul giornale e in tv.

E lo so che termini come “specie pura” e “manganelli” evocano una certa cultura.

Che pena vedere Travaglio – un grandissimo talento giornalistico svanito dentro il buco nero del conformismo grillino di giornata – inciampare, col suo sorrisetto, in un antico razzismo squadrista.