L’ennesimo scandalo del Turismo è piombato sulla testa di Schifani – che effettivamente arriva dopo le spese dei predecessori – ma stavolta il presidente della Regione non ha detto nulla. Muto. Solo qualche spiffero consegnato al “cerchio magico”, nessuna esternazione pubblica. Né bastone né carota, a differenza di quanto accaduto, ad esempio, con il pubblico richiamo all’assessore Scarpinato e ai suoi uffici in occasione del decreto che finanziò 3,7 milioni a una società lussemburghese per l’organizzazione di una mostra a Cannes. Stavolta, probabilmente, non servirà alcun atto “forte”, come il ritiro dei provvedimenti in autotutela (sarebbero parecchie decine quelli “sospetti”). Ci ha pensato l’Audit, con una relazione durissima in cui impone una sforbiciata del 25% alle spese “irregolari”. Il governatore non dovrà sporcarsi le mani. Non dovrà armeggiare alcuna tattica amministrativa per imporre la restituzione del maltolto. Potrà limitarsi a una valutazione politica, come ha fatto solo in parte con Cannes, per scoperchiare quello che somiglia sempre più a un verminaio (sulle spese folli del Turismo indagano pure la Procura di Palermo e della Corte dei Conti).

Adesso la questione è un’altra. Continuare a garantire fiducia a chi in questi anni e in questi mesi ha piegato l’utilizzo delle risorse pubbliche ai propri scopi, politici ma anche personali; o evitare che la situazione si riproponga. Un taglio netto col passato è quello richiesto dal Movimento 5 Stelle, che su questa vicenda ha deciso di investire, a differenza delle altre opposizioni, un pezzo della propria credibilità e riconoscibilità. “A Schifani – ha detto il capogruppo M5s Antonio De Luca – chiediamo di liberare l’assessorato al Turismo dalla presenza di Fratelli d’Italia che lo guida da 6 anni con quattro assessori diversi, e gli chiediamo se vuole fare il presidente dei siciliani o l’avvocato di quel partito”.

Questa è la domanda cui Schifani, dall’inizio, si sottrae. Prendete Cannes: il presidente era andato su tutte le furie per la pubblicazione di quel decreto, il 20 dicembre dell’anno scorso, di cui s’era dichiarato all’oscuro. Ha intimato il ritiro degli atti in autotutela e non ha vacillato nel parlare di “danno all’immagine” nei confronti della Sicilia. Quando Scarpinato, assessore a quel tempo, disse di essersi attivato per chiedere una verifica agli uffici, la reazione dell’ex presidente del Senato fu laconica: “Siamo su Scherzi a parte?”. Il decisionismo mostrato dal presidente per cancellare quella vicenda torbida – addirittura un affidamento senza bando a una società priva delle certificazioni antimafia – si sgretolò di fronte alle prime, pubbliche accuse dell’ex assessore al Turismo, Manlio Messina, che l’accusò di essere lui il responsabile (“O Schifani – disse senza riserve in tv – non ha guardato le carte, e questo sarebbe gravissimo, oppure non le ha sapute leggere”).

Come d’incanto, l’ira si trasformò in paura. Rabbiosa, ma pur sempre paura. E persino la campagna contro Scarpinato – l’assessore prediletto dal Balilla e dal ministro Lollobrigida, che lui stesso aveva voluto in giunta provocando un primo momento di scoramento al governatore – finì con un buco nell’acqua. Schifani incontrò La Russa e l’unico provvedimento adottato per uscire dall’angolo fu uno scambio di deleghe fra Scarpinato ed Elvira Amata, altro esponente di Fratelli d’Italia. Che oggi “ringrazia” per aver raccolto questa eredità funesta. Diciamo che per il principio intelligibile della trasparenza, che Schifani avrebbe voluto applicare alla sua azione di governo sin dal primo giorno, la vicenda non ebbe una conclusione felice. Tutt’altro. Solo il Tar, fin qui, ha accertato che il ritiro degli atti in autotutela era cosa buona e giusta. Ma sul fronte politico resta un enorme gap da colmare. Mettersi contro i più forti, contro quelli che rappresentano il partito della premier in carica, che santificano l’oratoria di Manlio Messina offrendolo alla coalizione come candidato a sindaco di Catania, certamente non deve essere facile. E’ una battaglia (quasi) persa. Ma qui torna la riflessione dei grillini: presidente dei siciliani o avvocato di quel partito?

Schifani ha affrontato con altro piglio la vicenda del Castello Utveggio, certamente meno grave di Cannes e di SeeSicily. Ma stavolta aveva di fronte un neo dirigente all’Energia, e l’approccio era certamente tra i più favorevoli. La burocrazia, d’altronde, si presta (assai spesso) a questi richiami, ed è avvertita anche dalla popolazione come un fastidioso intralcio per lo sviluppo. Se esibisce i muscoli contro un Maurizio Costa qualunque – questo il nome del dirigente che si sarebbe presentato “impreparato” al sopralluogo dell’Utveggio – non corri il rischio di essere linciato. Non c’è nessun partito che ti difende a spada tratta. Puoi eccedere e persino spettacolarizzare, com’è puntualmente accaduto: “Ero già stato a metà dicembre per un sopralluogo in cantiere – aveva detto Schifani – contestando già allora il mancato rispetto dei tempi e, anche in quell’occasione, mi era stato assicurato che la consegna sarebbe avvenuta entro marzo. Mi ero fidato ma con una certa riserva. Oggi riscontro con amarezza che la mia fiducia è stata mal riposta e che il termine dei lavori anticipatomi non sarà assicurato”. Poi l’affondo: “Il direttore generale Maurizio Costa stamattina – sottolineava il presidente della Regione – ha dichiarato di essere totalmente all’oscuro dell’andamento dei lavori e dei termini contrattuali. Attiverò immediatamente tutte le procedure finalizzate a individuare le responsabilità”.

L’ira del governatore, oltre che sul dirigente schiaffeggiato, si è abbattuta anche sull’impresa di Favara che avrebbe dovuto ultimare i lavori entro sette mesi dalla data di consegna. E non l’ha fatto. “Purtroppo – ha aggiunto Schifani, atteggiandosi a leone di Sicilia – è un chiaro esempio, certamente non virtuoso, di una Sicilia che fa di tutto per mortificare le proprie potenzialità di crescita. Palermo e la Sicilia non meritano queste offese e non possono più consentirsi queste gravissime inefficienze. Mi riservo di trasmettere tutti gli atti alla Procura della Repubblica di Palermo per l’individuazione di eventuali profili penali”. Per carità: smuovere le acque è doveroso e, a parole, Schifani è stato giù molto attivo in questo inizio di legislatura: sul caro voli, sulla battaglia con Anas per le autostrade, eccetera eccetera.

Ma un conto è trovare l’opposizione di un’impresa edile di Favara, un altro il battaglione di Fratelli d’Italia, che non è disposto a concederti un millimetro. Che ti ha già imposto il nome di due assessori “extra” in giunta. Che primeggia sul trono del Turismo senza soluzione di continuità. E che tiene la coalizione in bilico sulla scelta dei candidati sindaci “perché noi siamo il primo partito d’Italia e il sindaco di Catania ci spetta”. Riparare agli errori è possibile. Riparare alle arroganze che hanno segnato questo governo fin dall’inizio, invece, si sta rivelando un’impresa impossibile. SeeSicily sarebbe l’occasione giusta per un riscatto, eppure fin qui non è stata disposta nessuna indagine conoscitiva (nonostante l’Audit), nessun dibattito all’Ars (forse lo farà Galvagno), nessun richiamo all’integrità morale e sostanziale (si parla di soldi pubblici). Niente di niente.